CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

giovedì 16 novembre 2017

...NOI DA MATTERA ANDIAMO A FOLLIGNO... (40)

















































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Due passeggeri a bordo.... (39)

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....una strega a bordo (42)













Salite, svelti, pur se ci si bagna:
La Nave va al paese di Cuccagna,
E non importa se ne abbiam magagna.
Non credere che siamo noi soltanto
I pazzi: il mondo si può dare vanto
Di averne come noi grandi e piccini
In ogni terra, entro tutti i confini.
Noi da Mattera andiamo a Folligno,
Da Montefiascone un vento maligno
Porta a Cuccagna, ma mai ci arriviamo:
Di navigare capaci noi siamo.
Andiamo dunque costa a costa,
Cercando un porto in cui fare sosta:
non ne troviamo, e la nave è avariata
Né mai la nostra ciurma riposata
(di tanta abbondanza derubata..).
Giorno e notte giriam senza sapere
Dove si possa infin sollievo avere,
Ché nessun vuole dar retta a saggezza.
Di gente come noi c'è gran larghezza,
E sono cortigiani e leccapiedi
Che la Nave seguire a nuoto vedi
E infin salire sulla nostra corte
E navigar tentando la lor sorte
Come noi. Senza scopo né ragione,
Eppur gravosa è la navigazione:
Chi infatti carte a consultare è stato,
Alla bussola chi ha il corso affidato,
Chi la clessidra ha pur mai capovolto?
E chi alle stelle il proprio sguardo ha volto,
Cercando l'Orsa, Boote e le Iadi,
Chi ha fatto il punto su Arturo e Pleiadi?
Tra le Simplegadi sì che siam finiti,
E della nostra Nave sugli assiti
S'avventano le rupi d'ambo i lati,
E se sono a tal punto frantumati,
Che pochi posson salvezza sperare.
La Malasorte deve attraversare
La Nave, e da ogni riva è allontanata,
Poiché Scilla, Cariddi e sciagurata
Sirte ci fanno la rotta smarrire.
Non meravigli dunque se venire
Per mar vediamo bestie stravaganti,
Come Sirene e Delfini altrettanti,
Che ci rivolgon dolci cantilene
Tali che presto sonno a noi ne viene,
Sì che allo sbarco noi più non pensiamo.
Appare allora - e vero lo crediamo -
Il Ciclope che ha l'occhio rotondo
In cui Ulisse ficcò una trave a fondo,
L'astuto, ché veder non lo potesse
E nessun altro danno gli facesse,
Oltre a muggire come il bove fa
Che al coltel del beccaio sottostà.
L'astuto fuori si fece portare
Da arieti, dentro lasciandolo urlare,
Gemendo e molte lacrime versando,
Anche se volle ucciderlo lanciando
Massi. Quell'occhio al Ciclope ricresce:
Non appena di udire gli riesce
L'esercito dei folli lo spalanca
Quanto la faccia intera, né si stanca
Un matto dietro l'altro d'inghiottire
Con quella bocca che sa bene aprire
Da quest'orecchio a quello. Gli altri matti
A lui sfuggiti, ben presto sottratti
Dal re Antifate saranno alla vita
Coi Lestrigoni che in turba infinita
Nessun matto si lasciano sfuggire,
Essendo il cibo che soglion preferire.
A ogni ora del giorno aman gustarne
La carne, e il sangue come vin trincarne.
Sarà quello il ridosso degli stolti!
  Inventò Omero questi casi molti
Perché si fosse pensosi ed attenti
Ai tanti rischi in mar sempre presenti.
E dunque egli Odisseo molto lodava,
Che ottimi consigli spesso dava,
Quando davanti a Troia combatteva
E per diec'anni interi poi correva
I mari, ritornando salvo e sano.
Allorché Circe tolse aspetto umano
Ai suoi compagni con filtri attossicati,
E in bestie tutti li volle mutati,
Fu Ulisse così saggio e così astuto
Da non gustare cibo, né bevuto
Ebbe nulla, se prima egli non sciolse
L'incantamento, ed i compagni tolse
Da schiavitù con l'erba moly detta.
L'astuto si affrancò dalla disdetta,
Così facendo, in paesi diversi;
Ma non poté dal navigare tenersi,
Per cui non sempre al sicuro rimase:
Vento contrario lo investì e gli rase
L'albero e la sua nave infine infranse,
Ed i compagni perduti egli pianse,
Solo restato, ch'erano annegati,
E con le vele e i remi sprofondati.
Ma ancora saggezza in aiuto gli venne,
Per cui nuotando alla riva pervenne
Nudo, e poté ancor molto narrare.
Ma poi gli accadde di farsi ammazzare
Dal figlio suo, quando all'uscio bussò
Di casa: sagacia più non l'aiutò.
Nessun allora riconobbe il padrone,
A parte il cane che Argo aveva nome:
Così morì, poiché rimase ignoto
A chi doveva pur essergli devoto.
  Ma voglio al nostro viaggio ritornare:
Nel fango noi la fortuna trovare
Vogliam, sì che incagliati finiremo
E in pezzi andare l'albero vedremo,
Manovre e vele, e non possiam nuotare
Nel mare in furia e l'onde superare,
E chi si crede sulla cresta giunto,
Di sprofondar nel cavo è già sul punto.
Il vento ora le gonfia ora le spiana:
La Nave mai tornerà della mattana,
Ma a picco andrà definitivamente.
Noi non abbiamo astuzia e saggia mente
La spiaggia per raggiungere nuotando,
Come Odisseo che del destin nefando
Sì tolse, dopo aver naufragio fatto,
Nudo, eppure tornando a casa ha tratto
Più di quanto perduto non avesse.
Noi sopra banchi andiam, tra rocce spesse;
Sommergono la Nave negre ondate,
Le scialuppe ci vengono trappate,
Presto sarà l'equipaggio travolto
E il capitan da morte sarà colto.
Vedi come la Nave rolla e ondeggia,
Il gorgo la risucchia come scheggia
E quanto si trovi a bordo inghiottirà.
A noi saggio consiglio mancherà,
A qual santo votarci non sappiamo
Mentre nel rischio estremo ci troviamo
Dalla procella d'essere rapiti.
Un saggio avrebbe i suoi giorni finiti
In casa, asciutto, traendo insegnamento
Da nostra sorte, stando bene attento
A non avventurarsi a cuor leggero,
Sul mar, per quanto sia bravo nocchiero
Capace di vedersela coi flutti
Come Ulisse ai suoi tempi, che pur tutti
Ci rimise i compagni, e surnuotò
Mentre la nave a picco se ne andò.
   Poiché dovran matti molti annegare,
Possa per noi la salvezza restare
La riva alla qual giungere vogliamo;
Il remo tutti nel pugno stringiamo,
E dov'è il porto teniamo presente;
Chi è sensato ci arriva facilmente:
Anche senza di lui ne resteranno,
Di matti molti, che naufragheranno!
Il più sagace è colui che sa bene
Le cose che a tutti di fare conviene
O tralasciare, e che non ha bisogno
D'istruzioni in tal senso, ché il suo sogno
E' la saggezza di magnificare;
Ed è avveduto anche chi sa ascoltare
Gli altri, quando gli mostrano il sentiero;
Ma appartiene dei matti al grande intero
Chi abbia sempre le orecchie tappate
E non vi ascolta, chiunque voi siate.
Su questa Nave egli non s'è imbarcato?
Altro legno sarà presto arrivato,
Dove lieta brigata troverà
e il 'Gaudeaumus' intonar potrà,
Oppur la 'Litania in onor dei folli'
Che vien cantata sull'aria dei polli.
Non tutti ancora imbarco troveranno,
Ma i molti accolti a picco se ne andranno.
(S. Brant, La nave dei Folli)














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