CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

venerdì 16 ottobre 2015

CARLO GINZBURG (3)













































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Carlo Ginzburg (2/1)

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Carlo Ginzburg (4)














...Delle streghe confesse, si servissero di unguenti capaci di provocare stati di delirio allucinatorio. Non è facile, tuttavia, estendere questa ipotesi anche ai benandanti. Né il Gasparutto né il Moduco fanno parola di unguenti: essi parlano soltanto di sonni profondi, di letarghi che li rendono insensibili consentendo l’uscita dello Spirito dal corpo.  
…Passiamo ora all’altra ipotesi…
Che molte streghe fossero epilettiche, e che molte indemoniate fossero isteriche, è certo. E tuttavia, non c’è dubbio che ci troviamo di fronte a manifestazioni che è impossibile ridurre all’ambito della ‘patologia’: per motivi statistici (di fronte ad un numero così elevato di ‘malati’ anche i confini tra salute e malattia si spostano), e, soprattutto, perché le presunte allucinazioni, anziché situarsi in una sfera individuale, privata, posseggono una consistenza culturale precisa – si pensi anzitutto al loro ricorrere in un ben circoscritto periodo dell’anno: le quattro tempora – ed esprimono contenuti propri di una determinata religiosità popolare o di un particolare misticismo deviato.
Lo stesso discorso vale per i benandanti…
Verrebbe spontaneo attribuire a crisi epilettiche le catalessi e i letarghi in cui essi asseriscono di cadere. Di fatto, un solo benandante – una donna, Maria Panzona, processata prima a Latisana e poi a Venezia dal Sant’Uffizio, nel 1618-1619 – risulta soffrire del ‘bruto male’, cioè di epilessia. Certo, nel suo caso le crisi che la colgono di continuo, perfino nel corso di un interrogatorio, avranno assunto in determinate circostanze – durante le tempora – la fisionomia dei letarghi rituali dei benandanti. Comunque sia il problema dei benedanti e delle loro credenze va risolto nell’ambito della storia della religiosità popolare, non della farmacologia o della psichiatria.




(Comune denominatore di una determinata ‘socialità’ e  ‘società’ il rifiuto e la conseguente emarginazione soggetta sempre ad invariate prassi e schemi comportamentali riflessi nella costante incapacità di comprensione, sia teologica, che, pur moderna scienza, psichiatrica (quindi medica), definire, cioè, con il dono della ricerca e sperimentazione imprimendo formula e diagnosi circoscritta alla pratica ortodossa e/o teologica, medica e/o religiosa; circoscrivere enumerare nonché pretendere decifrare (con formule ‘dogmatiche esatte’) tali fenomeni ed eventi ponendoli di fatto in un contesto alieno in cui evoluti e motivati, sottintesi al comune senso di percepire vita e natura così come all’alba del Sacro in ognuno nato indistintamente essere Spirito Anima di codesto incompreso Creato. Quindi nel paradosso di tale intento, cioè, ciò in cui si attesta il mito (o motivo) e la successiva sua evoluzione nel Sacro percepito, reprimendo o peggio riducendo (e/o talvolta o troppo spesso), consistenza e storicità antropologica della stessa sua genetica evoluzione, certificando sicuro miracolo (e principio, a tal proposito si enumeri l’attribuzione della presunta santità attestata o al contrario perseguitata) e negando incompreso evento trasmutato in ‘pericolo’ Eretico enunciato e successivamente denunciato. Esiliato in formula più o meno evoluta, sacra nella sua venuta: ‘materiale’ e ‘razionale’ interpretazione nell’irrazionale protesa. Come se volessimo negare alla montagna adorata all’elemento pregato all’animismo nato allo Sciamano studiato, stratigrafica voce ed appartenenza quindi ‘crosta’ cui il comune mondo abitato nato. E di cui, come ogni Elemento in Lei evoluto, Parola del Dio (Primo o Secondo) universalmente studiato. Invisibile allo Spazio e Tempo evoluto, frapposto e in bilico fra un’equazione, Big-Bang di certa consistenza, ed opposta ed immateriale ma sicura certezza (il campo di battaglia fra opposti ed invisibili Universi di cui Milarepa non fu certo il primo, cui i benandanti non furono né secondi né ultimi). Ritornando all’invariato punto di partenza di questa Eretica ‘ricerca’ ma con uguale ed invisibile certezza!... 




…Centomila anni fa il pianeta ospitava solo una manciata di ‘Homo sapiens’, dai quali è discesa senza eccezione tutta la popolazione umana odierna. Per deduzione, tale convergenza deve terminare in un unico ominide nostro antenato. Ciò che vale per la specie umana vale per tutte le altre. Per esempio, quasi tutti i nostri geni li abbiamo in comune con lo scimpanzè; qualche milione di anni prima che l’Eva africana camminasse per la savana, da qualche parte nelle foreste dell’Africa dimorava l’antenato comune dell’uomo e delle scimmie antropomorfe. E così via, indietro nel tempo. Quanto più si scava nel passato, tanto più imparentate risultano le specie che oggi sono ben distinte. Mezzo miliardo di anni fa avevo per antenato un pesce. Due miliardi di anni or sono, tutti i miei avi erano microbi. Lo stesso ragionamento vale per tutti gli organismi, compreso il cespuglio fuori dalla mia finestra, l’uccello che becca sul davanzale e i funghi nel prato. Se potessimo risalirne gli alberi genealogici abbastanza indietro nel tempo, i loro rami distinti finirebbero per intrecciarsi e fondersi. Possiamo raffigurarci un albero genealogico di tutto ciò che vive al giorno d’oggi, una sorta di superalbero della vita. Alla fine, tutti i rami di questo superalbero devono convergere, e non di poco, ma completamente, fino a restringersi a un tronco centrale. Questo antico fusto rappresenta un unico organismo primitivo, l’antenato comune di tutta la vita del pianeta, un microbico Adamo il cui destino è stato di popolare il pianeta con una miriade di discendenti.  Ma come è nato questo minuscolo organismo, questo capostipite di un miliardo di specie?  Dove è vissuto, e quando?  E che cosa è venuto prima di lui? Una prova dell’esistenza dell'antenato universale deriva dalla bizzarra questione della cosiddetta ‘chiralità’ delle molecole. La maggior parte delle molecole organiche non è simmetrica: la molecola differisce dalla propria immagine speculare esattamente come la mano destra differisce dalla mano sinistra. Questo fa pensare che tutti discendano da una stessa cellula, che conteneva ogni molecola nella particolare forma chirale in cui la ritroviamo oggi. - il curatore del blog - )




…Anche la ‘reazione’ dei giudici di Jurgensburg ricalca fin nei particolari quella degli inquisitori di Udine: entrambi rifiutano con stupore e indignazione il vanto paradossale dei benandanti, essere paladini della ‘fede’, ed in riferimento ai loro trascorsi in ambiti discorsivi e puramente ereticali circa l’antropologico riflesso e contesto del lupo, e con più esattezza del lupo mannaro qui con varianti certamente più valide e forse inaspettatamente confacenti alla invisibile natura vissuta per ogni loro dipartita dal materiale corpo per sempre vestito Spirito all’ululato disperato abdicato, avverso a quanto da sempre dall’uomo braccato, recinto baratro del visibile peccato.







All’inizio fu un Giano bifronte,
racconta lo strano frammento
di un mondo distante.
Inganna la vista sua sola
compagna,
faro che annuncia mirabile
visione, 
al porto della comprensione
della sua dimensione.
Lontano tempo che viaggia
nel mare che avanza,
frammento perfetto
di un pensiero non letto,
nel vasto Universo osservato,
ma non del tutto svelato. (4)    

Fra una donna che parla
e un strega che urla,
e lo sciamano che racconta
la strana avventura.
Rantolo di voce
chi non conosce ancora
la luce.
Sibilo di vento che è solo
tormento,
una nascita oscura
di un grande Universo.
Frammenti confusi di un primo vagito,
lo sciamano parla la lingua di Dio. (5)

Racconta la vita
come lui la raccolta:
sogno oracolare
un lamento che brucia,
stretto fin dentro la gola.
Poi parla con il vento,
suono difficile da catturare.
La coscienza assume la forma,  
la parola uguale colore
dell’elemento dell’Universo,
ora disceso fino alla grotta,
specchio della sua
invisibile e prima memoria.
Narra il suono di un tamburo,
corre per un patimento,
suo eterno tormento. (6)

Scandisce il tempo di un Dio,
nato dalla strofa di un boato,
precipitato da una forma perfetta,
ad un caos di prima materia.
E’ la danza dell’Universo,
inciampa poi s’alza,
vuol scoprire un mondo
privo del Primo Pensiero.
Spirito che abbraccia
la sua strana illusione,
parola che crea,
e tempo che prega.
Materia che nasce e muore,
in questa strana visione.
Scordando il suo principio,
prima e increata sostanza,
racchiusa in un punto
della mia memoria.
Quando l’intero mondo raccolto, 

















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