CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

martedì 2 giugno 2015

LE DIMENSIONI INVISIBILI (nell'Universo del 'nulla' di Einstein)




















































Prosegue in:














Mi piace pensare all’Universo come a un essere organico, qualcosa di vivo. Noi tutti siamo cellule di questo essere, e spandendo luce tutte le stelle che vediamo nel cielo forniscono il sangue che fluisce attraverso i suoi immensi cicli. Le forze che governano questo essere unico sono forze fisiche, proprio come quelle che controllano e compongono gli esseri umani. E come avviene per ciascuno di noi, quando osserviamo il quadro d’insieme vediamo che l’individuo trascende di gran lunga il meccanismo che controlla i pezzi da cui è composto il tutto.
L’impresa di Einstein fu la costruzione di un modello matematico, basato sulla relatività generale, di questa bestia gigantesca. Il modello descriveva l’Universo nei termini di un’insolita sostanza chiamata ‘fluido cosmologico’. A comporre questo fluido erano delle molecole straordinarie: niente meno che intere galassie. Einstein scoprì presto che la sua equazione del campo gravitazionale gli permetteva di ricavare le relazioni fra tutte le variabili che descrivevano l’Universo, oltre che il modo in cui queste variabili cambiavano nel tempo.  Tuttavia, quando si mise all’opera, ebbe una spiacevole sorpresa. La sua equazione indicava che l’Universo non era statico ma in continuo movimento. Secondo la relatività generale, noi dovremmo vivere in un Universo che si espande, un Universo nato da una violenta esplosione nella culla del Big-Bang.
Sotto certi aspetti quest’Universo irrequieto rivelato dalla relatività generale è proprio come certe persone: una belva selvaggia, incivile, indomabile. Solo che questo Universo lunatico deve la sua irrequietezza a un semplice problema ormonale: la gravità attrattiva.




Questo è vero sia che rappresentiamo la gravità come una forza, sia che la rappresentiamo come una geometria. Lo dice il buon senso: la terra ci attrae verso il suo centro, non ci respinge in cielo. In tutti gli scenari possibili, per il semplice fatto che la gravità è attrattiva, l’Universo non accetta di star fermo. Vuole ostinatamente muoversi, espandendosi oppure contrarsi, una cosa che Einstein si rifiutava di credere. E qui prende avvio il suo terribile errore: il tentativo affannoso di ricavare un Universo statico dalle equazioni di campo.
Nel 1917, l’eternità dell’Universo era un articolo di fede della filosofia occidentale.
‘I cieli esistono da sempre e per sempre’. Perciò, scoprire che la sua equazione di campo predicava un Universo non eterno turbò enormemente Einstein. Messo di fronte a questa contraddizione fra la sua teoria e le solide convinzioni filosofiche del tempo, Einstein cedette…. Modificò la sua teoria.
Forse, se fosse stato appena un po’ più ottuso, non avrebbe mai fatto una tale castroneria. Non sarebbe stato capace di trovare un modo per aggiustare un problema che non esisteva, e alla fine avrebbe accettato quello che i suoi stessi calcoli matematici stavano cercando di dirgli. Ma per come stavano le cose fu la sua eccessiva intelligenza a giocargli un brutto scherzo, ed egli trovò ben presto una semplice modifica delle sue equazioni di campo che gli permise di costruire, nella sua mente, un Universo statico. Lo fece introducendo un nuovo termine nella sua equazione di campo, la cosiddetta costante Lambda (dal nome della lettera greca che egli adottò per simboleggiarlo), spesso chiamata ‘costante cosmologica’.
Era una modifica astrusa, che consisteva sostanzialmente nell’assegnare un’energia, una massa e un peso al nulla, ossia al vuoto. Era anche uno sgradevole ingrediente artificiale a una teoria altrimenti bellissima, qualcosa che era stato introdotto arbitrariamente con il solo motivo di garantire che un Universo statico potesse essere previsto dalla teoria della relatività generale.
Vi fu un tempo in cui gli scienziati ritenevano che ‘qualcosa’ pervadesse il ‘nulla’. Quel qualcosa fu battezzato ‘etere’, un equivalente scientifico dell’actoplasma. La teoria dell’etere raggiunse le vette della popolarità del XIX secolo, insieme alla teoria elettromagnetica della luce; e benché oggi possa apparire stravagante, un momento di riflessione rivela che il concetto di etere è, a priori, assolutamente sensato.




 L’argomentazione a sostegno dell’esistenza dell’etere procedeva, nel modo seguente: la luce è una vibrazione, ossia un’onda: questo era stato ben compreso già allora e aveva il sostegno di una gran massa di prove. Tutte le altre vibrazioni – le onde sonore, per esempio, o le increspature che si formano in uno stagno – necessitano di un mezzo che le sostenga, di qualcosa che possa effettivamente vibrare. Se con una pompa rimuoviamo l’aria di un contenitore, nessun suono può propagarsi attraverso di esso, dato che non c’è nulla che vibri in forma di suono. La presenza di onde in uno stagno asciutto non ha assolutamente alcun senso. Ma se con una pompa svuotiamo una scatola di tutto ciò che contiene e creiamo al suo interno un vuoto perfetto, la luce continuerà a propagarsi attraverso di essa. Infatti, benché nello spazio interplanetario ci sia un vuoto eccellente, noi possiamo vedere le stelle brillare nel cielo.
Quel qualcosa era l’etere, una fine sostanza che pervadeva tutto e la cui esistenza si poteva dedurre esclusivamente per mezzo della luce stessa. Non lo si poteva toccare o percepire in altro modo, e nemmeno la si poteva estrarre da un contenitore; e     tuttavia, come attestava la propagazione della luce, quella sostanza eterea era onnipresente. Si riteneva perciò che l’etere facesse parte della realtà così come ogni altro elemento, tanto che lo si può trovare indicato sul margine della maggior parte delle tavole periodiche del XIX secolo.
L’etere fu ucciso dalla teoria della relatività speciale di Einstein perché contraddiceva la costanza della velocità della luce: un vento d’etere avrebbe accelerato o decelerato le vibrazioni a cui faceva da supporto, cioè la luce. 
Einstein fu il primo a proporre che la luce fosse una vibrazione senza un mezzo, un’onda ‘nel vuoto’.Senza questo balzo concettuale, formulare la teoria della relatività speciale non sarebbe mai stato possibile. In effetti, se qualcuno di voi trova la relatività speciale non troppo....




















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