CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

venerdì 24 aprile 2015

IL VOLO DI JONATHAN (13)









































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Il volo di Jonathan (12)

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Il volo di Jonathan (14)














... Già cresciuta, compreso quell’Adamo dalla povera favella e la sua donna, sono al piano da basso del condominio, il peccato ho loro per sempre donato, e loro mi hanno per questo affidato le chiavi del loro piccolo ‘appartamento’. Se non fosse nel ricordo del peccato consumato non potrei curare ed amministrare ogni sacrificio sudato. Quando io ero a questo piano edilizio ancorato, tu ancora strisciavi e porgevi un frutto, ancora, se ben ricordo, non volavi, strisciavi quale immonda schifezza nella Rima a me poco gradita, ha sollevato una bufera terrena da me sapientemente e fruttuosamente gestita. Così nuova moneta ho coniato, altrimenti gli uomini da te creati da cosa trarrebbero terreno nutrimento? Dall’aria e il Pensiero del tuo Dio? Per questo ci son io! Materia di ogni Spirito!  Qualcuno ti ha pregato e venerato all’ombra di uno stesso deserto, al confine di una Parola, il tuo Dio ti conduce per tutte le vite da me raccolte ed ornate su un rigo, troppo piccole ed immonde per essere studiate, troppo piccole per essere interpretate su un Frammento su di un rigo su di un Papiro, quando il vento ti è nemico e la voce barcolla non sazio nel ventre della materia che non perdona compagna della misera tua ora!




Hai inventato la neve, ed io ho edificato e costruito ugual desiderio, lo nutro e coltivo, a te poi regalo il pianto antico racchiuso entro una giara quale sfida al desiderio dell’uomo che governa e divora: vola anche lui su di un legno, a te regalo ugual legno su alto nel monte, Teschio del pensiero tuo così mal concepito. Vuoi volare solo tu in questo desiderio antico? La mia legge è custode di ogni sogno da te partorito, per questo io lo governo nella salita e discesa del tuo Paradiso, e non condannarmi con la difficile ed ingannevole Parola, vogliamo negare il privilegio ad ogni uomo della sua piacevole ora? non fu Tommaso l’atleta che raccolse l’Eresia tua?
Non vedi? Ammira! Si sentono come Dio, e pregano il tuo eterno martirio, tu che vuoi confinarli senza legge ed edificio per una terra senza girone e bellezza a contemplare una serpe che striscia, una volpe che ruba, un lupo che divora il mio gregge che produce e lavora. Ed ancor peggio, un albero che narra la sua Storia, cacciagione della  mensa condito con il fuoco della mia ‘ora’ elementi della materia per cui condanni la Terra qui nella blasfemia narrata. La neve fu solo una lacrima della tua mente, io ho saputo coltivare e dare a lei il giusto nutrimento e gradimento.




Per te sarebbe stata solo una bella ‘simmetria’, ogni fiocco diverso e un quadro del tuo Dio, che inutile costruzione che inutile Eresia, il marmo compongo, la chiesa e il Tempio io dipingo, il tuo invisibile disegno  elemento di un Creato nato da un nero Principio, quale  perfezione di morte dipinta e nel freddo scolpita, su una croce ho confinato ‘la vita prima della vita’, affinché il Sacrifico venga pregato e la luce illumini il materiale creato. Nel Battesimo ho costruito la dottrina, ed anche se l’acqua per te ha un diverso significato, ogni pargolo di questo Creato deve avere l’immunità di quanto da te Pensato!”.
Odo la tua voce nel Vento fermo della terrena mattina, avverto la paura antica del cacciatore della segreta ed antica Prima Dottrina, per quanto da me tutto Pensato e Creato, un diverso Dio comanda la materia e la luce della vita, un diverso Dio indica la via, io solo un enigma diviso fra un’onda ed una particella invisibile alla vista.
L’acqua è principio di vita, tu quale elemento che governi la Natura sappi che l’acqua è principio della Parola nata, ed io così compio il ciclo ad ogni stagione della materia da te narrata. Se così non fosse non potrei volare e ricordare delle tante e troppe guerre che conoscono solo martirio privazione ed inganno, in quanto, anche se  strisciavo ed ora volo, il mondo che prego e di cui mi feci ingegno per essere da te governato nella materia di questo strano Creato, è privo di quella violenza e inganno destino della legge e parola del profeta da te inviato. L’istinto della mia eterna Natura è privo del concetto e Pensiero scritto nella tortura. Quella io l’ho provata e provo ogni giorno anche nella morte di quelle creature che vedo affogate nel mare profondo, anche in quei tuoi figli periti nell’acqua di un tuo principio non condiviso.




Osserva la Natura, ho regalato loro una Rima e la Neve con l’antica simmetria ha imbiancato la Chiesa della mia poesia. Quale opera meravigliosa, quale pittura sublime, non v’è quadro più bello in questo dire. Guarda la bestia che mi fa compagnia, non v’è anima più gentile da condurre per ugual via. Guarda coloro che popolano il cielo d’inverno e d’estate, non v’è suono più bello e soave.
Io ho dovuto patire il sacrifico e umiliato dal tuo volo da ognuno condiviso: chi uno sputo chi una offesa, chi un inganno comandata al portiere che invade ogni Rima poco gradita al condominio della tua costruzione così ben concepita. Ma la vita e il Pensiero Primo che per sempre dominano la via e nella materia crocefissa, non conoscono tortura o violenza alcuna, lascio a te questo mondo poco gradito io sono figlio di un altro Dio.
Straniero alla tua poesia, Straniero alla ricchezza tua, e se la povertà e l’umiliazione saranno il calvario dell’eterna mia vita, benvenuto vento che predichi la vita, visibile e pregato da ogni navigante che gode dei favori della tua  materiale fortuna a buon porto condurrai la sua terrena venuta, di questo ne sono più che certo, di questo ne sono più che lieto. Ma io sono un povero Jonathan Straniero alla ricchezza, striscio volo arrampico su per una cima come un Cristo impazzito e braccato dal suo popolo come un male antico, muoio ad ogni stagione e poi risorgo alla primavera e perdo la testa come un quadro dipinto e nell’impressione scolpito, di questo io ne sono più che certo, la luce illumina ciò che è visibile alla materia, la morte sarà compagna della mia ora, io a te dono il quadro della mia onda impazzita al museo della comune via…
Lasciami narrare ora il martirio nella miniatura di questo breve sacrificio perché io non conosco violenza, la Natura non conosce tortura, per questo quando la vedo che striscia nella sua piccola dimora, il secolare gesto debbo narrare all’ombra dell’infame peccato consumato!)




…. Lo ammette tranquillamente anche Giorgio Rochat, 56 anni, docente di storia contemporanea all’Università di Torino e presidente della Società di studi valdesi. Questa metafora del valdese-pellerossa ricorre come un basso continuo nel nostro incontro a Torre Pellice, il capoluogo montano dei valdesi, che per la vivacità intellettuale, già Edmondo De Amicis aveva ribattezzato ‘la piccola Ginevra’. Né stupisce il nobilotto protagonista maschile dell’appassionante romanzo storico ambientato in queste valli a fine Seicento dalla scrittrice Marina Jarre, ‘Ascanio e Margherita’, appena posa gli occhi su boschi e spuntoni di roccia, veda proprio quegli indiani irochesi dal trofeo di penne, di cui narravano i primi pionieri d’America, appostati con arco e frecce sempre in agguato.
L’analogia con gli indiani  si fonda su diversi aspetti. Sulla fiera resistenza. Sulla perfetta conoscenza del territorio. Sui metodi di guerriglia. Sull’irriducibilità. Sulla condizione di rifugiati a casa propria. E non solo quassù, in quello che fu il verde ducato di Savoia, il Canada italiano. Anche giù in Calabria, verso la secca Arizona. Dove gli abitanti di villaggi come Guardia Piemontese, Montalto, San Sisto dei Valdesi e Vaccarizzo nel 1561 vennero stanati dalle truppe del vicerè di Napoli, chiamate dal grande inquisitore (il domenicano Michele Ghislieri, futuro papa, nonché santo, Pio V, a tal proposito puoi leggere…) con l’aiuto degli stessi cani mastini che gli spagnoli avevano addestrato in America latina per la caccia agli indios.
Sono pagine di orrori e di macelli, di tagli di frutteti, di conversioni estorte sul filo della spada, di raffinate… TORTURE… nelle segrete, di avviamento degli uomini più robusti sulle galere di Spagna, di rapimenti di ragazze destinate alla schiavitù sessuale, di roghi umani che ricordano il martirio dei primi cristiani, di macabre esposizioni di cadaveri squartati lungo le strade tra Cosenza e Morano. La faccia di quella ‘ecclesia maligna’, insomma, che per difendere il lucroso monopolio del sacro chiudeva entrambi gli occhi davanti alle atrocità del suo braccio secolare. 




(Io ho volato sopra quelle Terre, io ho raccolto ed udito il pianto di quel creato, non puoi qui negare il male arrecato, il peccato, il vero peccato accompagnato all’inganno di questo Creato ed ancora consumato al Tempo ciclico del tuo palato. Io dimoravo in una cella gabbia dell’Intelletto inquisito e braccato, calunniato dallo Stato del tuo araldo, volavo ieri come ora, ed un tuo servo mi ruba(va) la Parola, la distribuisce alla ‘parabola’ di una falsa via. La Storia hai inquisito, il canto e la Rima di chi morto bruciato, ed ancor oggi distribuisci stesso intento, la Storia non vuoi ricordare, cacciando la ragione dell’Intelletto confusa e rivenduta per pazzia al porto della giustizia. Poi, come quelle anime affogate, anche io sono....
















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