CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

martedì 10 luglio 2018

IL TEMPO & LA MEMORIA (5)













































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L’immagine del rogo dei libri ha una lunga storia alle spalle e rappresenta con drammatica efficacia l’estrema conseguenza del conflittuale rapporto tra poteri organizzati e voci avvertite come dissidenti.
Nello stesso torno di tempo l’atto di censurare ha però conosciuto meno appariscenti, ma forse più rilevanti gesti che hanno variamente influito sulla nostra civiltà e sui modi di intendere il potere e la capacità di espressione. Fu soprattutto nel corso dell’età moderna, tra gli inizi del secolo XVI e la fine del XVIII, che in Europa nacque, si sviluppò ed entrò in crisi un sistema di controllo sulla produzione, la circolazione e l’uso del libro, inteso come naturale complemento di una società ben organizzata.
In questo senso la situazione italiana appare confusa e frammentata, frammentazione politica dovuta dalla più accentuata capacità di vigilanza della Sede Apostolica. E’ d’altra parte problematica una ricostruzione complessiva degli atteggiamenti della censura, anche per la mancanza di studi preliminari su varie situazioni di grande rilievo. Basti pensare che non molto si conosce delle regolamentazioni effettive della stampa a Roma che, dopo Venezia, era il secondo centro editoriale italiano.
Poco contribuisce a chiarire la questione il considerare che buona parte della penisola, almeno tra la seconda metà del ’500 e inizi del ’700 rimaneva sotto la sovranità spagnola: il ducato di Milano, i regni di Napoli, Sicilia e Sardegna. Ciò tuttavia non implica che automaticamente vi avessero valore le prammatiche del re cattolico. E’ già di per sé significativo che solo la Sicilia e la Sardegna fossero sotto la giurisdizione dell’Inquisizione spagnola, mentre il regno di Napoli e il ducato di Milano restarono nell’ambito dell’Inquisizione romana.
A Milano le prime disposizioni sulla stampa furono prese nel 1523 da Francesco Sforza. Nel 1543 il governatore spagnolo proibì di stampare senza licenza e nel 1564 furono pubblicati i decreti tridentini, la cui applicazione fu curata con particolare impegno da Carlo Borromeo, ivi compresa la professione di fede imposta a librai e stampatori. Una ‘grida’ del 1586 disponeva che non si pubblicassero libri ‘senza licenza del governo, deputandosi da questo persone idonee per la revisione de’ libri da stamparsi’. Mentre non risultano informazioni di rilievo circa i rapporti tra Stato e Chiesa in questo particolare aspetto, la frequenza con cui tale disposizione venne replicata negli anni successivi potrebbe lasciare intendere che sia rimasta largamente inosservata.
Situazione simile si ebbe anche nel regno di Napoli, ove, malgrado non sia mai stato formalmente concesso il regio ‘exequatur’ all’indice romano, le proibizioni pontificie avevano normale corso. Di fatto era l’autorità ecclesiastica ad avere il controllo dell’attività editoriale, nonostante che per tutto il ’600 i vicerè e il Consiglio Collaterale reiterassero disposizioni contro chi stampava senza autorizzazione regia, con l’intento soprattutto di tutelare le opere di contenuto giurisdizionale, sistematicamente avversa dalla Curia arcivescovile.
Negli Stati al di fuori della diretta influenza spagnola il peso delle proibizioni romane fu ancora più grave. Per tutto il XVII secolo nel ducato sabaudo non fu facile per il duca imporre un sistema di controllo che non fosse quello ecclesiastico. Considerazioni analoghe valgono anche per il granducato di Toscana sino al 1743, salvo qualche periodica ma influente rivendicazione delle proprie prerogative sovrane. Non è diversa la situazione degli Stati estensi. A Modena era formalmente necessaria l’autorizzazione del duca, ma di fatto i censori ducali si limitavano ad opporre un ‘vidit’ a opere che avevano già ricevuto l’ ‘imprimatur’ da parte dell’inquisizione.
E’ dunque evidente che laddove la produzione libraria rimase modesta, i principi non attribuirono grande importanza alla questione. Nella pratica quotidiana furono quindi le autorità religiose a dettare legge, sempre attente a cogliere i momenti di debolezza dei sovrani e dei loro delegati e a utilizzare in tale funzione strutture in grado di adattarsi con estrema duttilità alla varietà delle situazioni. Vescovi e Sant’Uffizio preferirono di conseguenza spesso evitare di affrontare questioni di principio, per non alimentare estenuanti controversie che avrebbero coinvolto gli apparati diplomatici; era per loro molto più conveniente concentrare gli sforzi sul meno appariscente, ma ben più efficace operato di inquisitori periferici, predicatori e confessori, abituati al diretto contatto con i fedeli e capaci come nessun altro di incidere sulle coscienze…. 




Ritorniamo ora, al nostro frate Pietro da Verona e agli altri personaggi che lo accompagnano…., e ripercorriamo la memoria archivistica che ha dato alla luce il nostro ‘quaderno contabile’ di appunti dell’Inquisitore….
Nel 1906, in un brevissimo contributo ‘Per la storia dell’Eresia in Lombardia nei secoli XIII-XIV’, lo studioso ticinese Emilio Motta dava notizia di un regesto secentesco che il marchese Verzellino Maria Visconti aveva redatto in seguito alla perlustrazione di documentazione notarile di natura inquisitoriale. Dove il marchese l’abbia consultata, non è noto. E’ certo, invece, che attualmente risulta irreperibile. Una traccia lieve rimane nelle diradate scritture che dai registri duecenteschi dei notai degli inquisitori si trasfondono nel regesti secenteschi del marchese confluiti nella biblioteca della famiglia Trivulzio, consultati e, infine, annotati in ‘appunti’ brevi da Emilio Motta.
Tali ‘appunti’, che nelle intenzioni dell’autore avrebbero dovuto soltanto segnalare una presenza, si rivelano ‘notizie’ di un ‘capolinea’ documentario: contenente regesti di Verzellino Maria Visconti, il codice trivulziano 1817 allogato nella biblioteca della famiglia Trivulzio non è conservato attualmente alla Biblioteca Trivulziana presso il castello sforzesco di Milano.  Nel XVII secolo la circolazione manoscritta e la frequentazione erudita erano vivaci. Non soltanto il marchese Verzellino Maria Visconti cerca gli Eretici tra la documentazione notarile, ma anche il monaco Matteo Valerio si impegna in indagini i cui protagonisti sono gli Eretici.
Chi era Matteo Valerio?
‘Cacciatore’ di manoscritti, priore e fondatore della Biblioteca della Certosa di Pavia, egli è fratello del più conosciuto Giacomo Valerio, canonico di Santa Maria della Scala, collaboratore del cardinale Federico Borromeo nella ricerca di manoscritti per la Biblioteca Ambrosiana e grande protagonista della scena culturale nella prima metà del Seicento…
Del monaco certosino si conservano presso la Biblioteca Braidense appunti o, meglio, sintetiche schedature in forma di lista nominale. La fonte non è cristallina, sebbene del cristallo mostri l’elevata rifrangenza e la preziosità. Si tratta di nomi tratti da atti processuali e, in parte, da lettere papali: una proiezione onomastica dell’attività non altrimenti attestata degli inquisitori. Le registrazioni del monaco non hanno carattere sistematico, si estendono in una disordinata sequenza compilativi di nomi affiancati talvolta da una data, raramente da informazioni aggiuntive, l’opera compilatoria di Matteo Valerio diventa imprescindibile per la storia dell’inquisizione milanese (e non…).
Quale approdo trovano le fonti perlustrate dal certosino?
Sappiamo che il monaco Matteo è ricordato dalla storiografia ereticale a proposito di un favoloso salvataggio documentario. Concretamente stereotipo era stato il rinvenimento fortuito del ‘quaternus imbreviaturarum’ del notaio Beltramo Salvano contenente parte dei processi contro i devoti e le devote di ‘domina’ Guglielma, parziali procedimenti giudiziari condotto da frate Tommaso da Como e la sentenza contro ‘dominus’ Stefano.
Si narra della bottega di un droghiere, di carte utilizzate per avvolgere cibi, del provvidenziale e attento intervento del monaco che avrebbe riconosciuto, salvato, schedato e fatto pervenire a Giovanni Puricelli i documenti inquisitoriali depositati, infine, presso la Biblioteca Ambrosiana. La lista di Eretici che inaugura gli appunti del monaco certosino altro non è che la precisa schedatura degli inquisiti dei processi contro i devoti e le devote di ‘domina’ Guglielma: una schedatura completa di atti incompleti, pervenuti casualmente tra le mani curiose in una bottega.  La frugalità dei dati non depotenzia il loro valore né accresce il loro disvalore, talvolta, una delicata tessitura informativo-documentaria permette di andare oltre la veste nominale, mostrando concrete esistenze di uomini e donne.




‘Otto Villanus habitator Ierognii, hereticus catarus, circa 1290’, viene collocata da Matteo Valerio nello spazio di una pagina introdotta dall’etichetta ‘CATARI’. Al di là di tale appartenenza definitoria non si saprebbe altro, se l’inquisitore Lanfranco da Bergamo, titolare dell’ ‘officium fidei’ di Pavia dal 1292 al 1305, non avesse annotato nel proprio ‘liber racionum’ di aver speso quattro lire e mezzo nella primavera del 1296 per mandare due frati a Olivia Gessi, presso il ‘castrum’ del priore de Georgiis – assai plausibilmente da identificarsi con Rocca de’ Giorgi nell’Oltrepò pavese – dove, al tempo della precedente vendemmia, era stato sepolto ‘Otto Villanus heresiarcha’.
Sempre nelle carte relative alle uscite dell’ officium fidei’ pavese, leggiamo che nella primavera dell’anno successivo il frate inquisitore si era recato personalmente a Oliva Gessi – assai vicino a Rocca de’ Giorgi – per fare disseppellire il ‘grande eresiarca’ spendendo 17 denari. Possiamo supporre che la menzione dell’anno 1290 negli appunti di frate Matteo corrisponda a una fonte che il certosino teneva sul tavolo riportante notizie di un Eretico, anzi un ‘magnus heresiarcha’, un uomo che l’inquisitore Lanfranco non aveva esitato a far dissotterrare nel 1296, un Eretico sepolto all’interno di un ‘castrum’ di signori locali.
Altri filamentosi ‘nomina’ tratti dagli appunti del monaco Matteo Valerio compongono una delicata trama biografico-ereticale se intessuti con i più robusti fili del ‘liber racionum’ di frate Lanfranco. Schegge informative di un dilacerato contesto religioso erano state rilevate dal monaco certosino nel verso di una ‘carta 20’ contenuta in un imprecisabile fascicolo dove aveva letto di dominus Oldrado da Monza e della sorella Contessa, entrambi eretici. Nelle entrate del quaderno di frate Lanfranco le due incisioni nominali assumono forma contabile: domina Contessa, sorella del defunto Oldrado e abitante a Vercelli, era stata condannata a pagare quasi 100 lire imperiali.
… Se l’interesse del monaco certosino per la documentazione inquisitoriale si limita all’individuazione degli Eretici, il suo lavoro rappresenta il ‘verso’ della Storia della repressione religiosa in Italia nel XIII secolo: il valore o il disvalore delle sue note dipenderà da riscontri documentari che, di volta in volta, andranno pazientemente individuati. 





Ogni sguardo dall’alto di questo pulpito cogliamo, perché nulla è casuale in questa cerimonia. Fratello – Eraclio - , nel gesto compiuto di tre dita che si elevano in alto scandisce il proprio dire. Sottolinea la sacralità della celebrazione. Per chi vi crede, ogni riferimento alla manifesta presenza dell’Altissimo  nella parola meditata e studiata è ispirata dal cielo, dove dimora la verità di cui Eraclio è portatore ed artefice. La – Divina Giustizia – di cui ci dispensa, nella sacralità dell’ – Inquisizione - , di cui è segreto maestro.
L’inganno del dialogo, là dove si interrompe la corsa, il veloce galoppo del fuggiasco, nel mare del nulla dall’apparenza di  libertà. Così dalla fuga di un susseguirsi di domande, all’inganno di un dialogo amichevole. Ma  nell’ apparenza della libertà, il muro di una fuga insperata sembra impossibile.  Quel mare, ora, appare identico nei ricordi  dei fuggiaschi, dei profughi.  L’identica litania, lo stesso conversare con gli elementi della natura. All’improvviso la schiera dei – Confratelli - sembra apparire  nella diversità dell’ essenza e forma, ghiaccio e fuoco e  l’impossibilità di un mare che da lontano si preannuncia come la sola  fuga. Ma ora, il solo  parlare e  navigare…, sembra impossibile .

- Fratello… noi ti abbiamo ascoltato, osservato e molto spesso compreso. Ti abbiamo accolto a braccia aperte nella nostra e in tutte le umili dimore, dove regna la buona parola del Signore.  Ma in ragione di ciò, in forza di questo umile motivo, dobbiamo sapere più di quanto ci appare. La pretesa di questo dialogo, fratello, non deve essere confuso con altro. Perché se noi siamo in errore, dobbiamo ravvederci, e comprendere affinché la giusta parola non venga confusa.
- …Fratello noi ti abbiamo osservato dai primi battiti del cuore, quando le emozioni che da questa pace scaturivano invadevano il tuo e troppo spesso –  nostro Spirito - . Tu non sei solo un fratello, ma nostro figlio legittimo.
Perché siamo arrivati a tanto? 
Perché…. io domando (…quasi con le lacrime agli occhi….) questa visione, questo divenire, questa tua improvvisa superbia, questo – Fuoco – che sembra essere sceso all’improvviso nel tuo animo.
Io Eraclio, qui ed ora, di fronte a tutti i miei – Confratelli – sono testimone della pacatezza e costanza dei tuoi buoni propositi e sentimenti. Io sono testimone dell’amore che tutti noi riserviamo per la tua presenza. Cosa ha fatto scatenare questo tuo parlare dissoluto, cosa è sceso nel tuo spirito malato? Noi vogliamo …capire e comprendere, e se non è stato possibile in questi lunghi tempi, in onor della verità, in pubblica Cerimonia, in questo luogo sacro, vogliamo tutti noi comprendere la tua verità, ed il nostro errore ……
L’errore, fratello, è nemico della fede…
Come la cattiva interpretazione di ogni dire……
Questa ed unica forza ci tiene uniti contro ogni rancore ……
- …. Fratello, troppo spesso ti abbiamo visto, senza mai rimproverare il tuo giovane entusiasmo, guardare per ore smarrito ed assente i flutti delle acque, i getti del fuoco del vulcano, e poi pregare il ghiaccio….. Fissare smarrito strati di nuda roccia. Quante volte ti abbiamo ripescato all’interno di quelle grotte, al buio della luce, di ogni luce del sapere.

– Così dicendo, Eraclio alza una mano e con un gesto di assenso comunica qualcosa ai Confratelli seduti affianco a lui, in modo che possano vedere la costanza della forma, l’umiltà e la bontà dei modi.  Tutti convengono in tacito accordo, con lo sguardo chino offrono le orecchie a fratello – Eraclio - .

- Mai ti negammo nella nostra costante indulgenza, per ogni dire e fare, fuori dalla nostra comprensione, i favori del sapere e non solo.  Mai  negammo ciò che era tuo. Ma di ciò, ora sappiamo, hai superato ogni limite dell’umana comprensione. Ti abbiamo dato ciò che la tua famiglia ti aveva privato, ma ci hai pagato con una moneta peggiore di Giuda…

- A questa parola tutti i presenti mormorano il proprio consenso e tacito disprezzo…

- Quando fosti lasciato alle nostre cure  abbiamo provveduto a purgare il tuo spirito malato di troppo entusiasmo, e ti abbiamo riparato dai mille pericoli che il tuo giovane carattere ti esponeva costantemente per gli invisibili  labirinti del male. Abbiamo combattuto e pregato per i tormenti che infiammavano il tuo Spirito. Ti abbiamo insegnato e curato, mai privato della vita che il destino ti aveva assegnato. Il nostro compito abbiamo assolto con costanza e pazienza.  Ti abbiamo nutrito agli obblighi della vita, da cui troppo spesso venivi meno, poi abbiamo nutrito il tuo corpo e con esso la mente e lo spirito.

– Con  queste parole – Eraclio – apre le braccia, e getta uno sguardo fugace al grande libro aperto davanti a lui.

- Giorni  fa nell’ Abbazia dove ti hanno trovato i confratelli qui presenti, ti aggiravi stordito dal rancore. Ci dicono che hai vagato a lungo in Archivi e Biblioteche. noi non reprimiamo tale sete di conoscenza, la incoraggiamo anche se la nostra – Regola – non permette, una volta indossato il nostro abito, tanto pellegrinare.
Ti abbiamo concesso i favori di un abito diverso dal nostro umile saio, ci hanno raccontato, che senza il nostro assenso hai frequentato le anziane filatrici. Per un tempo maggiore alla sua realizzazione. Hai usufruito....

(Prosegue....)






















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