CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

domenica 20 novembre 2016

INTERMEZZO VENATORIO: il cacciatore














































Prosegue in:

Intermezzo venatorio (2)













Arrivai all’Albergo della Posta a Martigny verso le quattro del pomeriggio…
‘Perbacco!’ dissi al padrone posando il bastone nell’angolo del camino e aggiustandovi sopra il mio cappello di paglia ‘c’è una bella trottata da Bex fin qui!’.
‘Sei piccole leghe nostre, signore’.
‘Che son poi circa 12 leghe di Francia! E di qui a Chamonix?’.
‘Nove leghe’.
‘Grazie. Fatemi trovare una guida per domani mattina alle sei’.
‘Il signore va a piedi?’.
‘Sempre’.
Compresi che se le mie gambe crescevano nella considerazione del mio ospite, ciò avveniva certamente a spese della mia posizione sociale.
‘Il signore è artista?’ continuò l’albergatore.
‘Pressappoco’....




‘Il signore pranza?’.
‘Tutti i giorni, devotamente’.
Infatti, siccome i pranzi sono molto cari in Svizzera, e ognuno costa quattro franchi, prezzo fisso sul quale non è possibile ribattere nulla, nei miei programmi di economia avevo già da tempo tentato di rifarmi in qualche modo su quest’articolo; finché, dopo lunghe meditazioni, ero riuscito a trovare una via di mezzo tra la rigidità scrupolosa degli albergatori e la ribellione della mia coscienza: si trattava di non alzarmi da tavola se non dopo aver mangiato per un valore di almeno sei franchi; in tal modo il mio pranzo veniva a costarmi soltanto quaranta soldi.
Naturalmente, vedendomi accanito all’opera e sentendomi dire: ‘Cameriere; replica!’, l’albergatore borbottava tra i denti: ‘Ecco un inglese che parla maledettamente bene il francese’.
Si vede che l’albergatore di Martigny non era profondo nella scienza fisiognomica del suo compatriota Lavater dal momento che osava pormi questa domanda piuttosto impertinente: ‘Il signore pranza?’.
Quand’ebbe inteso la mia risposta affermativa: ‘Il signore è capitato bene oggi’  continuò ‘abbiamo ancora dell’orso’.
‘Ah! Ah!’ feci, mediocremente entusiasta dell’arrosto ‘E’ buono questo vostro arrosto?’. L’albergatore sorrise scuotendo la testa con un movimento dall’alto in basso, che poteva tradursi così: ‘Quando lo avrete assaggiato, non vorreste mangiare altro’.




‘Benone’, ripresi ‘e a che ora si pranza?’.
‘Alle cinque e mezza’.
Guardai il mio orologio; erano soltanto le quattro e dieci: ‘Bene; giusto il tempo d’andare a visitare il vecchio castello…’.
… Quando rientrai, gli altri viaggiatori erano già a tavola: gettai un’occhiata rapida e inquieta su di loro; tutte le sedie si toccavano, e tutte erano occupate; ero senza posto!... Un brivido mi passò per la schiena, e mi voltai per cercare l’albergatore. Era dietro di me. Mi parve di scoprire sulla sua faccia un’espressione mefistofelica. Sorrideva!
‘Ed io’ gli dissi ‘ed io, disgraziato!’.
‘Guardate’ mi rispose, indicandomi col dito una piccola tavola a parte, ‘guardate: ecco il vostro posto! Un uomo come voi non deve mangiare con tutta quella gente là’.
Oh il degno discendente degli Octodurii! Ed io che avevo pensato male di lui! La mia piccola tavola era apparecchiata meravigliosamente. Quattro piatti formavano la prima portata, e in mezzo troneggiava un arrosto d’un aspetto tale da far vergogna a un ‘beefsteak’ inglese!
L’albergatore vide che esso attraeva tutta la mia attenzione. Si chinò misteriosamente al mio orecchio: 
‘Solo.... 

(Prosegue...)


















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