CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

sabato 19 aprile 2014

ENTRAR SEMPRE DEUE COMESAR... (44)












































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L'equazione del... Tempo (43)

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Vida noua Vida... (45)














L’inverno durava ancora….
Imponeva la sua volontà e si prendeva il suo Tempo, riferisce amaramente il cronista (l’umile cronista di questa breve vita…).
Conservava il suo pieno vigore, benché il sole brillasse ormai per gran parte della giornata. In quel giorno di Pentecoste, il 4 di giugno dell’anno 1620 dopo il Nostro Salvatore, i bianchi campi di neve si stendevano ancora immacolati verso l’orizzonte a nord…
Neppure una breccia di mare azzurro brillava nella luce. La Baia di Hudson era una pista da ballo piana e deserta dove il vento, qua e là, invitava un fantasma a danzare. Un po’ più a monte della foce del fiume, le navi erano bloccate nella banchisa…
La più piccola, lo sloop ‘Lamprenen’, era stata trascinata verso la costa mentre la fregata ‘Enhiorningen’ giaceva piegata su un fianco a circa 120 braccia dalla terra ferma…. La pressione dei ghiacci disegnava una gorgiera intorno ai suoi fianchi catramati, un battere continuo proveniente dal ponte di poppa risuonava lontano sulla terraferma….




Sulla costa, tra le capanne dei carpentieri, la neve era ancora alta. L’oca selvatica aveva incominciato a migrare verso nord, i grandi stormi di uccelli volavano imperturbabili sopra i campi, qui non c’era anima viva, qui abitavano solo i morti e i morti non alzano il moschetto contro la prelibata oca selvatica.
Nella neve si drizzava una cinquantina di croci di legno e sulla distesa di ghiaccio, tra la più grande delle navi e la costa, giacevano quegli uomini che non avevano neppure una croce. Alcuni erano per metà coperti di neve, come se, sorpresi dal gelo, in assenza di una vera tomba avessero cercato di proteggersi con uno di quei bianchi piumini.
Ma come già constatava sua eccellenza Movritz Stygge, rivolgendosi più che altro a se stesso in quella fredda giornata di aprile in cui, in piedi sul bastingaggio, le mani rovinate, osservava le croci: ‘I morti non hanno freddo, al contrario. Tra loro c’è di certo qualche povero diavolo che spera che faccia un po’ meno caldo là dove ora si trova’.




Queste profonde parole furono pronunciate il 7 aprile dell’anno 1620 dopo il Nostro Salvatore. Cinque giorni più tardi a bordo vennero fabbricate tre nuove croci. Tra queste, una per il signor Movritz. Ma ciò accadeva tanto Tempo fa’, oggi tutto è calmo nella Baia di Hudson…. Nel corso di questa lunga giornata di Pentecoste l’unico rumore che si sente è il battere regolare che proviene dalla nave più grande, dove una cima si è staccata dal sartiame e va a colpire a brevi intervalli con un paranco il fianco del castello di poppa.
Lì accanto sono coricate tre figure, ma nessuna di loro chiede che cosa sia che continua a picchiare in quel modo sopra le loro teste. Giacciono con il viso contro il ponte e le braccia tese, come se, anche nella morte, volessero aggrapparsi alla nave inclinata.
Navigano… non fanno domande….
Non l’hanno mai fatto…
Navigare è necessario… Fare domande… no…!




Nello scaldavivande di bronzo della cabina di poppa il fuoco era spento. Il sole di Pentecoste penetrò dall’arcuata finestra laterale, si posò su un rotolo di cavi, sfiorò un boccale e disegnò il profilo di alcune figure scure. Anche laggiù c’erano tre uomini coricati.
Il capitano riposava nella cuccetta vicina al tavolo, sembrava vecchio e provato, ingrigito anzitempo. Il gabbiere era sdraiato sul tavolaccio a sinistra e l’aiuto cuoco allungato sul pavimento davanti alla cabina del capitano, la testa sepolta tra le mani rovinate.
Il sole di Pentecoste si imporporò per qualche istante nella lampada che, appesa a una trave sopra il tavolo, rivelava l’inclinazione della nave nel ghiaccio. Man mano che il giorno calava, il raggio di luce abbandonava l’ottone lucente per scivolare sui tre uomini, attardandosi prima sull’uno e poi sull’altro. Due di loro rimasero immobili. Il terzo si mosse….
Era il capitano….
Era ancora vivo…




Fuori aveva inizio lo spettacolo consueto della sera. La banchisa si divideva in chiazze dorate e viola scuro. La neve si colorava d’azzurro. L’inverno durava ancora. Sembrava che a poco a poco si fosse impadronito dell’intera stagione successiva, ma a queste latitudini la primavera giunge sempre all’improvviso…. Nella cabina di poppa il capitano, spinta via la pelle d’orso, cercava di alzarsi, e il fiato che gli usciva dalle labbra formava piccole nubi di vapore nel locale stantio.
Finalmente riuscì a mettere le gambe fuori dalla cuccetta, ma rimase a lungo seduto, le mani appoggiate al tavolo, lottando contro le vertigini. La cabina oscillava da un lato all’altro. Era come se la nave si fosse improvvisamente liberata dal ghiaccio; poi, però, tornata in acque calme, ritrovò a poco a poco l’inclinazione di prima.
Si guardò intorno, il gabbiere dormiva, l’aiuto cuoco era morto. Volgendo poi gli occhi ai propri avambracci appoggiati al tavolo, si sfilò i guanti con precauzione e fissò le sue mani rovinate, come se stentasse a credere che erano proprio le sue. La luce penetrava quasi orizzontale nella stanza, tra poco sarebbe stato buio. Dopo aver frugato un po’, pose sul tavolo davanti a sé un quaderno, la delicata copertina di pergamena è macchiata di sangue, sulla prima pagina sono scarabocchiate alcune parole:

Emtrar sempre deue comesar Vida Noua Vida


(Prosegue....)















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