CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

venerdì 30 agosto 2013

I 'PASSI' DEI PELLEGRINI (55)





























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L'economia corrotta (54)

Prosegue in:

I Diavoli della montagna (moderna geografia alpina) (56)













Durante l'epoca romana parecchie strade erano state costruite per collegare
tutta l'Europa a Roma, capitale dell'Impero.
Le strade erano organizzate secondo rigidi schemi di achitettura romana: lar-
ghe almeno quanto il semiasse di un carro, dotate di canali laterali di scolo per
le acque, cippi militari che ne indicassero le distanze, viadotti e ponti dove ne-
cessari, stazioni di sosta dislocate lungo il percorso.
Il sistema viario romano era stato trascurato durante i secoli bui delle invasioni
barbariche e dell'Alto Medioevo: alcune strade erano state sfruttate dagli eserci-
ti invasori, altre percorse dai pellegrini e dai mercanti, ma molte erano cadute
in disuso e si erano completamente rovinate.
Durante il Basso Medioevo e il Rinascimento le vie erano state restaurate e am-
mordenate, grazie alla ripresa dei traffici commerciali, ai contatti politici e di-
plomatici tra le varie corti europee, e all'intensificarsi degli spostamenti dei mo-
vimenti religiosi.




Mentre molti pellegrini dall'Europa del nord si recavano a Roma, al centro del
continente, a cavallo della catena alpina, nascevano movimenti riformisti sci-
smatici alla chiesa di Roma. Gruppi di fedeli si spostavano da una valle all'al-
tra, fuggendo dalle persecuzioni o alla ricerca di un po' di pace.
Quindi nuove attività economiche erano state sviluppate e sempre più le popo-
lazioni si spostavano lungo le antiche strade.
Sulle Alpi erano stati aperti parecchi passi che permettevano il transito da un
versante all'altro delle montagne. Iosa Simler nel suo 'De Alpibus' (1574) ci
fornisce una immagine nitida sulle 'Difficoltà e i pericoli delle strade alpine e
come si possono superare':




"I percorsi alpini sono difficili e pericolosi o per la strettezza dei sentieri, posti su
 precipizi, o per il ghiaccio e la neve, o infine per il freddo, le bufere e le aspre
tormente.
In primo luogo dunque sulle montagne più alte i sentieri sono quasi ovunque irti
e stretti, talvolta addirittura intagliati nella roccia con faticoso lavoro dell'uomo:
a tal punto stretti, da lasciar passare a stento un animale da soma, e talvolta po-
co più ampi di due piedi.
Spesso, quando difetta il percorso, due rocce scoscese sono addirittura collega-
te da una trave gettata come ponte; oppure vengono saldate alle pareti di nuda
roccia, su pilastri, delle pertiche parallele, e mediante zolle di terra e fascine si
stendono dei viadotti.
Spesso, se pur non vi sono rocce a stringere la strada, questa s'affonda angusta
nell'immensa profondità della neve, dove la fatica dell'uomo ha aperto un varco
sicuro al passo: ma la neve soffice e alta ai fianchi non permette al viandante di
uscirne.
Di solito poi il panorama che da quei punti si apre sulle profondissime valli sotto-
stanti incute al passeggero gran paura; talché molti per timore di vertigini si fan-
no condurre per mano dagli indigeni, abituati a quei percorsi, oppure chiedono
di essere trasportati sulle loro cavalcature, in grado di varcare con assoluta sicu-
rezza i passaggi più difficili e angusti.
In compenso le difficoltà di queste vie fanno sì che, pur non essendo mai le Alpi
insuperabili, tuttavia non per ogni strada si può guidare un esercito per le diffi-
coltà del trasporto dalle salmerie e delle macchine da guerra.
Spesso poi in montagna, anche là dove gli itinerari sono generalmente più confor-
tevoli, si presentano lunghi tratti di strada difficile; per cui i viandanti procedono
cauti per non ferirsi, e soprattutto per non danneggiare i mandriani di buoi e ca-
valli".




Il rapporto dell'uomo con le Alpi cominciò gradatamente a cambiare: nel Medio-
evo le montagne intimorivano il viandante che le considerava orride, estrema-
mente pericolose, e spesso le affrontava come espiazione di peccati.
Nel Cinquecento l'uomo si accostò alle Alpi con maggior curiosità, riconsideran-
dole oggetto di indagini e scoperte, ed esorcizzandone così i pericoli.
Sempre nel Medioevo gli ordini monastici eressero ospizi in vetta ad ogni passo
per assistere i pellegrini e, nel caso dell'ospizio del Gran San Bernardo, soccor-
rerli con segugi da neve appositamente addestrati.
Nella stessa epoca fino all'avvento dell'Illuminismo le Alpi furono fonte e teatro
di superstizione, per molti rappresentavano l'inferno, combinando le gelide con-
dizioni avverse con miti ben nutriti dalla religiosità chiusa nelle sue vallate.
Quando gli uomini vi si avvicinavano era solo per valicarne i passi il più in fret-
ta possibile, stando all'erta contro i pericoli incombenti.
Molti viaggiatori erano trasportati con una benda sugli occhi per evitare che ve-
nissero sopraffatti dal terribile spettacolo. Questo era un regno le cui zone più
alte erano, a detta di tutti, la dimora di una razza di esseri subumani deformi e
malvagi: le vette superiori erano abitate da Dèmoni di ogni specie, e nessuno
nutriva dubbi sul fatto che nelle grotte alpine vivessero serpenti pronti a incene-
rire chiunque mettesse piede al di sopra della linea delle nevi perenni.
(Prosegue....)












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