CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

sabato 23 giugno 2012

'NEL NOME DEL BUDDHA' ...nella sacra abbazia della storia













Prosegue in:

http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2012/04/23/epilogo-del-viaggio.html &

http://paginedistoria.myblog.it/archive/2012/04/23/epilogo-del-viaggio-2.html







....Tra Cristianesimo e Buddismo vi è una rivalità,
più che tra le altre religioni; e il problema è chi tra i Cristiani e i buddisti saranno
i primi a chiarire le nostre concezioni sulla mèta religiosa dell'umanità in termini
semplici e piani, e adattati alle esigenze pratiche della vita.
I Cristiani possono imparare molto dal Buddismo (al patto di non cancellare la
nostra memoria genetica, per assimilarla e inglobarla ad un sistema teologico, che
trascurando la filosofia, e con essa una più e certa verità, rimuove la nostra stra-
tigrafia storica, sociale ed evolutiva. Cancellando altresì in nome dello stesso as-
solutismo che accompagnò lo zelo dei primi missionari, in terra Tibetana, a quello
dell'assolutismo politico degli invasori comunisti e cinesi.).
Ed i Buddisti possono imparare molto dal Cristianesimo.




Il Cristianesimo (come sappiamo) conquistò le nostre religioni adottando quanto
vi era di buono in esse. Adottò dai Greci la filosofia del Logos, e dai Teutoni l'e-
tica della lotta e degli sforzi energetici. E' solo da quando il Cristianesimo rifiutò
di assimilare nuove verità, che il suo progresso fu arrestato.
Il futuro religioso di una religione dipende dalla vitalità spirituale dei suoi rappre-
sentanti, e vitalità significa capacità di sviluppo.


Primo Peccato: Dualismo originale.
Come tutte le religioni, il Buddismo ebbe origine nel desiderio di sfuggire alla transitorietà della vita con le vicissitudini incidentali, e di raggiungere la beatitudine duratura di un'esistenza indisturbata dove non esistono dolore, malattie, morte o incertezza di nessuna sorta.
Non appena che la prevalenza del soffrire venne riconosciuta come una condizione inseparabile dell'esistenza corporea, il primo tentativo fatto per ottenere la liberazione dal male fu naturalmente
quello di ricorrere ad una mortificazione del corpo perché l'anima ne avesse beneficio.
Il corpo venne riguardato come la sorgente di ogni miseria, ed un'esistenza pura-
mente spirituale fu l'ideale in cui le persone religiose posero la loro speranza di
salvezza. Il corpo è destinato a morire, e venne perciò considerato come un ca-
davere animato. La nostra esistenza materiale è un corpo di morte da cui l'uomo
deve sbarazzarsi prima di poter ottenere lo stato immortale.
(Ecco ciò che forse non compresero i primi esploratori, orientalisti, dotti, acca-
demici, esploratori, pionieri, missionari, avventurieri, politici, eserciti, fondamen-
talisti, ortodossi bigotti e ...spirituali...).























Così leggiamo nella storia di Sumedha, che serve da introduzione ai Jataka:

'Come uno potrebbe sbarazzarsi d'un orrido cadavere legato al suo collo e quin-
di andare libero e allegro per la sua via, così devo io similmente sbarazzarmi da
questo pezzo di corpo, da questa dimora di carne, e andare per la mia via senza
una cura, senza un rimpianto per le cose lasciate indietro. Come gli uomini getta-
no i loro avanzi sul mucchio delle immondizie e vanno per la loro via senza una
cura o un menomo rimpianto per ciò che lasciano; così mi libererò io similmente
da questo pazzo corpo, da questa dimora di carne, e andrò per la mia via come
se avessi gettato le mie brutture nella fogna'.

Sumedha dice:

'Quale miseria rinascere! e quale aver la carne putrefarsi dopo la morte!
Soggetto alla nascita, alla vecchiaia, alle malattie, voglio cercare di trovar l'estin-
zione dove nessun decadimento è mai conosciuto, né la morte, ma la totale sicu-
rezza'.


















L'ideale dello stadio di Buddha in conseguenza è nella forma originale.
Il raggiungimento di una condizione puramente spirituale che si sperava avrebbe
portato seco una 'perfetta' emancipazione dal soffrire.
Il problema religioso, quale si presentò all'asceta Gautama prima che egli giunges-
se alla Buddhaità era formulato in termini prettamente 'dualistici'....
Non tutti gli stranieri però rimasero affascinati dal contrasto vissuto all'interno della
loro esperienza in Tibet e alcuni continuarono a dichiarare inalterato il loro disgusto.
Erano quelle persone che avevano una visione monolitica del mondo e spesso era-
no le più sicure delle proprie convinzioni e dei propri ragionamenti.
Fra questi possiamo annoverare gli ideologi cinesi preoccupati degli orrori della
vita pre-rivoluzionaria in Tibet, per i quali una visione più variegata è inaccettabile
dal punto di vista sia professionale sia morale.



















....Ma possiamo includere nella schiera anche i missionari occidentali moderni, se
dobbiamo giudicare da un volantino messo in circolazione da uno di queste confra-
ternite nel 1990:

'Non vi è luce che riesca a perforare l'oscurità satanica del Tibet, una nazione da
lungo tempo immersa nel demoniaco dal buddhismo tibetano detto lamaismo....
Satana ha reso schiava questa gente per tutta la vita con l'uso di parole atte allo
scopo: 'Om mani padme hum' e altre diciture che vengono ripetute e cantate ai
falsi dèi (e le loro poesie, canti...rime....)'.

Propagandisti cinesi e fondamentalisti cristiani hanno del Tibet una visione unitaria
dominata da un indifferenziato senso dell'orrore.
I comunisti sottolineano la crudeltà del rapporto servo-padrone nella società tradi-
zionale, mentre i missionari protestanti contemporanei parlano di cultura satanica.
Le loro prospettive sono l'immagine speculare, il negativo, del mito della felicità
collettiva proposto dagli aristocratici.
Ma è più che un puro atteggiamento.
Il punto di vista ideologico che essi rappresentano crea una rete di concetti alcuni
dei quali possono avere conseguenze anche tragiche.
Quello cinese ha portato fra gli anni 60 e 70, al tentativo di eliminare l'identità etni-
ca dei tibetani mentre i fondamentalisti cristiani, come è facile verificare, in molti
casi si sono rivelati dannosi per le culture che hanno incontrato.























Nel processo di trasformazione attraverso il quale tali ideologie mettono in moto
meccanismi persecutori, il punto più caldo del conflitto intellettuale non è necessa-
riamente - come ci si potrebbe aspettare - il dibattito sulla superiorità razziale, la
religione, le relazioni sociali, bensì l'appropriazione della storia.
Per gli assolutisti la percezione della storia è diversa dalla nostra.
Essi intendono l'esistenza come un processo storico incentrato su un momento
particolare, la redenzione.
Ciò che sta prima è male, ciò che segue è bene.
Per i propagandisti cinesi le riforme democratiche del 1959 trasformarono l'orro-
re del Tibet tradizionale nella sua immagine speculare di una felicità altrettanto per-
fetta. Per i cristiani del 1990-2010 tutto è ancora esattamente identico al momento
in cui arrivarono Landon e Weddell nel 1903, poiché i tibetani non sono ancora
redenti (ma forse ...recidivi...).



























La trasformazione storica avverrà solo quando i tibetani si convertiranno al cristia-
nesimo. Per questi missionari, persino l'odore del burro rancido entra nel quadro
della mancanza di redenzione: 'Essi usano burro di yak dal pessimo odore rancido
per quasi tutto, per proteggere la pelle, per farne il tè, per offrirlo agli idoli', diceva
un volantino missionario.
I propagandisti cinesi hanno un compito ben più complesso di quello di lamentarsi
della cucina: devono cambiare la prospettiva della storia tibetana. Devono riscrive-
re i libri di testo, modificare il calendario, dare un nuovo nome a strade e palazzi,
creare nuovi miti nello sforzo di costruire un racconto in cui l'integrazione del Tibet
nella grande madrepatria appaia uniforme e coerente.
(P. Carus, Il Buddismo e i suoi critici cristiani; & R. Barnett, Lhasa la città illeggibile)


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