CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

mercoledì 10 aprile 2024

VALORIZZARE I LUOGHI SACRI

 









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con Mary Austin 







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Seconda Parte







La vicenda della nascita e della crescita di un sistema di parchi nazionali e di riserve protette in Italia è una storia non lineare, fatta di slanci pionieristici, di profonde crisi, di improvvise accelerazioni, di periodi di crescita lineare e di lunghe stasi. Una storia insomma estremamente sofferta, che si intreccia strettamente con le vicende culturali e istituzionali nazionali e nostra tempi diversi rispetto alla media degli altri paesi europei. I motivi che hanno reso questo percorso così accidentato sono molti e sono tuttora in parte ben vivi: uno sguardo alla durevole e duratura ‘conservazione’ dei parchi italiani può servire quindi anche a migliorare la situazione presente e a difendersi meglio da rischi futuri.

 

I parchi nazionali sono un’invenzione relativamente recente, risalendo agli anni ’70 dell’Ottocento, e nascono negli Stati Uniti sulla base di alcune considerazioni ed esigenze specifiche. Una prima considerazione è data dalla rapidità con cui il progresso tecnico innescato dall’industrializzazione diviene in grado, già nell’Ottocento, di infliggere inedite, profonde ferite agli ambienti naturali sia nei pressi delle città sia lontano da esse, persino nelle aree più remote del pianeta.




 

Facciamo una breve cronologia: 


 

1853

 

 

Gli scrittori europei sono tra i primi a denunciare i problemi ambientali delle grandi città industriali. Charles Dickens introduce il romanzo Bleak House descrivendo una Londra oscura, spettrale e affumicata mentre nel successivo Uncommercial Traveller (1875) porterà la sua attenzione sull’inquinamento dei quartieri più poveri. Non meno potente sarà la descrizione del sistema fognario parigino nei Miserabili (1862) di Victor Hugo.





1854 


 

Nasce in Francia la Société impériale zoologique d’acclimatation. I suoi fini sono anzitutto utilitari, ma nel corso del tempo essa diverrà l’antesignana dell’ambientalismo francese.

 

Esce Walden; or, Life in the Woods (Boston, Ticknor and Fields; tradotto per la prima volta in italiano nel 1920) di Henry David Thoreau (18171862), frutto di un lungo periodo vissuto in solitudine in un bosco nei pressi di Concord, nel Massachussets. Opera tra le più importanti e influenti della letteratura americana, rivendica il valore di un’esistenza semplice e a contatto con la natura nella convinzione che la conservazione della “wildness” sia un valore fondamentale per l’intera umanità. Oggi Walden è considerato un testo fondativo della cultura ambientalista, non solo statunitense.





 

1858

 

 

Gli scarichi fognari nel Tamigi provocano un lungo periodo di odori nauseabondi (‘The great stink’) che avvolgono tutta Londra. Pur non causando vittime è uno dei primi casi di inquinamento percepito da milioni di persone. A partire dal dicembre 1873 e con frequenza abbastanza regolare (ad esempio nel 1880, 1882, 1891, 1892 giù giù fino ai drammatici episodi del 1952 e 1956), Londra conoscerà invece delle ondate di ‘killer fogs’, alte concentrazioni di nebbia e fumo dalle conseguenze letali, con migliaia di vittime.

 

Queste catastrofi inducono le autorità inglesi ad emanare un gran numero di provvedimenti antiinquinamento, tra i primi adottati in Europa.

 

Particolarmente importanti lAlkali Act del 1863 per contrastare l’inquinamento dell’industria chimica e specialmente quello dovuto all’acido cloridrico durante la produzione della soda Leblanc, il Public Health Act del 1875 contenente diverse importanti misure di igiene pubblica nel campo del trattamento dei rifiuti e della prevenzione e il Factories and Workshops Act del 1878 volto a prevenire le malattie professionali nell’industria e a impedire l’impiego di donne e bambini nelle lavorazioni più pericolose.




 

1863

 

 

Primi passi negli studi sugli effetti dell’azione umana sul clima: in una lettura alla British Royal Society John Tyndall illustra la teoria dell’effetto serra, già formulata in precedenza da Fourier. Sulla base delle sue osservazioni il geologo americano Thomas Sterry Hunt ipotizza, in una pubblicazione dello stesso anno, che i cambiamenti climatici verificatisi nelle varie ere geologiche possano dipendere da mutamenti di concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera.

 

Sarà tuttavia soltanto nel 1895 che in una relazione presentata all’Accademia svedese delle scienze Svante Arrhenius (18591927, premio nobel per la chimica nel 1903), ipotizzerà un aumento della temperatura terrestre dovuto allaumento di CO2 conseguente al processo di industrializzazione.

 

Assieme a tre soci John D. Rockefeller crea a Cleveland la sua prima raffineria di petrolio. Nel giro di pochi anni Rockefeller sarà in grado di edificare il monopolio statunitense della nuova materia prima energetica e chimica smantellato solo formalmente nel 1890. La Standard Oil di Rockefeller sarà dissolta in una serie di società alcune delle quali cruciali nella storia mondiale dell’approvvigionamento energetico come la Esson, la Mobil, la Chevron e l’Amoco. Quattro delle “sette sorelle”, cioè del grande oligopolio planetario novecentesco del petrolio, proverranno dai ranghi della Standard Oil.

 

A imitazione di quello inglese fondato nel 1857 viene fondato a Torino il Club Alpino Italiano. In varie fasi della storia d’Italia esso rivestirà un ruolo significativo all’interno dell’associazionismo protezionista.





 

1864-72

 

 

Negli Stati Uniti vengono istituite le prime aree protette del mondo. Nel 1864 viene tutelato il complesso montuoso californiano di Yosemite mentre nel 1872 nasce il primo parco nazionale, destinato a proteggere l’enorme area selvaggia di Yellowstone, nel Wyoming. Per lungo tempo la formula statunitense del “parco nazionale” sarà quella più imitata a livello mondiale e darà un contributo notevole alla formazione dell’identità americana. Fino ai primi decenni del Novecento, tuttavia, l’esempio statunitense sarà seguito soltanto nei dominions britannici (Australia 1879, Canada 1885).

 

Il diplomatico americano George Perkins Marsh pubblica Man and Nature or Physical Geography as Modified by Human Action (New York, C. Scribner; tr. it. L’uomo e la natura, ossia La superficie terrestre modificata per opera dell’uomo, Firenze, Barbera, 1870), oggi considerata la prima analisi su vasta scala spaziale e temporale del degrado sistemico dellambiente provocato dallazione antropica.

 

Essendo Marsh ambasciatore statunitense in Italia, l’opera viene tradotta e pubblicata nel nostro paese quasi immediatamente, a Firenze nel 1868. Scarsamente influente al momento della sua comparsa, l’opera è stata fatta oggetto di un’ampia rivalutazione a partire dalla metà degli anni Cinquanta del Novecento ed è oggi considerata una delle pietre miliari delle scienze ambientali e del pensiero ambientalista.




 

1865

 

 

In Inghilterra inizia a formarsi una pionieristica galassia di associazioni ambientaliste, in questi anni probabilmente la più articolata e avanzata del mondo. Preceduta da alcuni gruppi prevalentemente locali come ad esempio la Manchester Association for the Prevention of Smoke, nel 1865 viene fondata da politici e intellettuali progressisti come Robert Hunter, John Stuart Mill e Octavia Hill la Commons Preservation Society.

 

Ad essa faranno via via seguito tra le altre la Kyrle Society (1876), la Society for the Protection of Ancient Buildings (1877), la Lake District Defence Society (1883), la Selborne Society for the Preservation of Bird, Plants and Pleasant Places (1885), la Society for the Protection of Birds (1891), il National Trust (1895). L’adesione di alcuni dei più influenti intellettuali dell’epoca come William Morris e John Ruskin garantisce al movimento una grande visibilità e un altrettanto grande consenso. 

 

Viene promulgata la ‘legge per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia’, detta anche ‘legge Lanza’. L’allegato C della legge contiene una sere di importanti in materia di organizzazione della sanità pubblica. In tal senso si tratta del primo provvedimento nazionale riguardante la salute dei cittadini.




 

1889

 

 

Il protezionista statunitense John Muir (18381914), che nel 1892 sarà cofondatore e primo presidente del Sierra Club, s’impegna in una campagna di stampa sul ‘Century Magazine’ per salvare Yosemite dalle manomissioni. I suoi articoli avranno un gran peso nel favorire il rafforzamento delle normative federali di tutela già nel 1890 e, più in là nel tempo, nella costituzione del National Park Services. 

 

L’avvio negli Stati Uniti della cosiddetta Progressive Era favorisce un ampio dibattito pubblico sulla filosofia e sulle politiche di protezione della natura nel quale si confrontano una corrente ‘conservazionista’ (più utilitarista e moderata) e una ‘preservazionista’ (più radicale) ma entrambe opposte al laissez faire in campo ambientale. Il dibattito favorisce un rafforzamento sia della popolarità della tutela della natura presso l’opinione pubblica, sia dell’associazionismo ambientalista, sia infino delle politiche di tutela federali. Emblematica di questa fase è la figura del conservazionista Theodore Roosevelt, che sarà presidente americano dal 1901 al 1909.




  

1890

 

 

Fondazione del Sierra Club, per la tutela e il godimento della wilderness e della montagna della California e più in generale degli Stati Uniti occidentali. L’associazione diverrà una delle più famose e influenti del proprio paese.

 

William Morris pubblica News from Nowhere (Boston, Roberts Brothers), primo esempio di ‘ecotopia’, incentrato sulla restaurazione dell’armonia tra uomo e natura.


 


 


1901 

 

 

Tra il 1900 e il 1913 si sviluppa negli Stati Uniti il Progressive Conservation Movement. In questo contesto il termine conservazione introdotto nel 1907 da Gifford Pinchot e W. J. McGee e includente luso collettivo e la tutela di foreste, acque, suoli e minerali viene definito come luso razionale (wise use) delle risorse naturali a beneficio del maggior numero di persone per il più lungo tempo possibile.

 

In un discorso del 1908, il presidente Theodore Roosevelt  conservazionista convinto, sodale di John Muir e creatore del Wildlife Refuge System e della National Conservation Commission indicherà nella difesa della natura obiettivo di primaria importanzaper gi Stati Uniti.

 

Tutti questi importanti eventi hanno in ogni caso uneco scarsa se non nulla in Europa.

 

Gli Stati Uniti sono uno dei primi paesi in cui si avverte la necessità di sottrarre aree naturali ancora poco sfruttate e contaminate alle trasformazioni che necessariamente derivano da insediamenti di tipo moderno, a forte impatto tecnologico. Una seconda considerazione riguarda la presenza, nell’America Settentrionale, di vaste estensioni territoriali non stabilmente abitate e di grande valore naturalistico, una circostanza estremamente rara in Europa ad eccezione delle frange pioniere dell’ecumene.




L’esigenza, infine, che spinge le autorità statunitensi a intraprendere la creazione di parchi nazionali è quella di dotare la giovane nazione di un patrimonio monumentale che possa emulare quello dei ben più antichi stati europei. In assenza di un patrimonio basato sulle testirnonianze della storia e sulle opere d’arte, gli Stati Uniti cercano nella solenne natura incontaminata i propri monumenti e li tutelano per la libera fruizione dei cittadini e per lasciarli intatti  alle generazioni future.

 

Non mancano infine, come ha sottolineato la storiografia più recente, considerazioni di tipo più materiale: già dagli ultimi  decenni  dell’Ottocento  compagnie  ferroviarie  e gestori di catene  alberghiere si rendono conto che un parco nazionale può trasformarsi in una straordinaria attrazione  turistica, capace di generare  consistenti profitti.

 

Dopo l’istituzione del parco nazionale di Yellowstone nel 1872, e grazie a questo concorrere di elementi, i parchi nazionali statunitensi aumentano progressivamente di numero giungendo a formare una vera e propria rete che riceve una sanzione istituzionale ancora più alta nel 1916 con la creazione di un organismo di coordinamento federale, il National Park Service. A questa data i parchi americani sono ormai una dozzina e l’idea di parco nazionale si è diffusa ormai in tutto il mondo, facendosi oggetto anche di progetti internazionali tra potenze coloniali.




Molto diversa è la situazione europea.

 

Qui la disponibilità di aree non antropizzate e scarsamente contaminate è molto minore, l’identità nazionale si lega assai più al patrimonio storico, artistico e letterario dì quanto non si leghi al paesaggio e il turismo ha ancora, salvo alcune eccezioni, caratteristiche di élite e destinazioni principalmente urbane e termali. In Italia alcune di queste caratteristiche appaiono ulteriormente esaltate. Per lunghi secoli il paese è stato il più fittamente e densamente popolato sia dell’Europa continentale che dell’area mediterranea, con trame  insediative generalmente molto fitte e un intenso  uso  del  territorio. 

 

Per  dare  un’idea delle realtà che si confrontano basti dire che la superficie del Parco Nazionale di Yellowstone, nei  primi  anni ’70 dell’Ottocento  del tutto  disabitato,  equivale a quella della Sardegna. In secondo luogo l’Italia, a differenza di paesi come la Gran Bretagna, la Germania e gli Stati Uniti, è una nazione che resta molto a lungo sulla soglia di un’incompiuta modernizzazione socio-economica, con una larga preponderanza del settore agricolo, una rete urbana fitta ma non ancora industriale, una rete infrastrutturale fragile  e un ceto medio piuttosto esiguo.




I processi che trasformano profondamente le grandi potenze industriali a cavallo tra Otto e Novecento si verificheranno definitivamente in Italia soltanto a  partire dal secondo dopoguerra. Ciò implica che gli effetti di devastazione del paesaggio e della qualità della vita urbana che stimolano solitamente la nascita di una domanda di tutela ambientale si verificano in Italia con un certo ritardo  rispetto  ad altri paesi  europei.

 

Nonostante tutti questi limiti, che resteranno peraltro profondamente influenti per gran parte del Novecento, il nostro paese ha la fortuna di svolgere un ruolo pionieristico in Europa nel campo dei parchi nazionali. 

(Piccioni)


[PROSEGUE CON LA SECONDA PARTE]






lunedì 8 aprile 2024

MARY HUNTER AUSTIN

 









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& i nostri Sacri luoghi







Più di 100 anni prima che Cheryl Strayed raccontasse le sue avventure in solitaria sul Pacific Crest Trail nel suo libro di memorie più venduto, Wild, un’altra giovane donna si avventurò da sola nelle aride terre della California. Era venuta con la sua famiglia attraverso i Monti Tehachapi e nella San Joaquin Valley, a nord di Bakersfield, nel 1888. Mentre esplorava, rimase incantata dalla bellezza sconosciuta del paesaggio, dalla sua inospitale e dalla sua gente, che riuscì a prosperare lì.

 

‘Ci sono colline, arrotondate, smussate, bruciate, spremute dal caos, dipinte di cromo e vermiglio, che aspirano al limite delle nevi’,

 

…scrisse in seguito.

 

‘Tra le colline si trovano pianure dall’aspetto elevato, piene di intollerabile bagliore del sole, o strette valli annegate in una foschia blu’.

 

Per più di un decennio, Mary Hunter Austin vagò per il territorio desertico che lei chiamava “terra delle poche piogge”, il nome dei nativi americani. Ha compiuto studi accurati sulla flora e la fauna della zona e sulla sua gente, sia la popolazione autoctona che quella, come lei, che era venuta a vivere alla frontiera.




Poi, nel 1903, pubblicò una lettera d’amore alle terre che oggi includono il Parco Nazionale della Dead Valley e la Riserva Nazionale del Mojave. Le ci sono voluti 12 anni per fare ricerche, ma solo un mese per realizzarla. In parte diario di viaggio, in parte libro di memorie, in parte etnografia, il libro si chiama Land of Little Rain.

 

Sebbene la maggior parte degli scritti di Austin non sia mai entrata nella pubblica anima del commercio, al contrario del lavoro degli ambientalisti John Muir e Ald Leopold, Land of Little Rain è considerato un’opera fondamentale di narrativa ambientale, influenzando autori da Terry Tempest Williams a Gary Snyder. Anche se divenne un’autrice prolifica, nessuno dei suoi libri successivi fu così amato e ampiamente ristampato.

 

Il libro fece una profonda impressione anche ad William Randolph Hearst, nipote del magnate dei giornali.

 

‘In due o tre frasi sei trasportato in quel mondo’,

 

…dice.

 

‘Molto prima che Charlie Bowden e Edward Abbey diventassero gli uomini di lettere del deserto del sud-ovest, lei creò una sorta di comprensione letteraria e poetica di quel paese’.




Hearst ne fu sufficientemente affascinato da decidere di ristampare il libro con Counterpoint Press e volle includere immagini che evocassero il tono e il lirismo del testo di Austin, quindi ingaggiò il fotografo Walter Feller, anch’egli rimasto affascinato dal libro di Austin. Ciò che Hearst e Feller impararano durante le ricerche sul libro è che Austin non era solo una pioniera in termini di dove si avventurava e come scriveva; è stata una pioniera nel modo in cui ha vissuto la sua vita.

 

Austin nacque Mary Hunter nel 1868 a Carlinville, Illinois, la quarta di sei figli. Era la figlia di un ex capitano dell’esercito dell’Unione durante la guerra civile amante dei libri e una madre di origine scozzese-irlandese, fieramente interessata alla temperanza, alla religione e all’apprendimento dei libri. Suo padre morì quando lei aveva nove o dieci anni.

 

Più tardi, Austin e sua madre, con la quale ebbe una relazione tumultuosa, seguirono suo fratello nell’ovest, unendosi ai coloni approfittando dell’Homestead Act del 1862. La legge incoraggiava la migrazione occidentale attraverso terre economiche e facilmente ottenibili. La famiglia si stabilì nella San Joaquin Valley, nella California centrale. Austin aveva 20 anni e già si definiva una scrittrice.




Molti dei luoghi preferiti di Mary Hunter Austin sono diventati parchi nazionali 20 anni fa con l’approvazione del California Desert Protection Act del 1994. La legge, firmata dal presidente Bill Clinton, ha istituito i parchi nazionali della Death Valley e Joshua Tree e la Mojave National Preserve. Nel complesso, la legislazione ha assicurato una maggiore protezione per oltre 8,6 milioni di acri del deserto della California, che ammontano al 23% del territorio del parco nazionale nei 48 stati inferiori.

 

Fece lunghe passeggiate nel deserto, che era allo stesso tempo “la terra più solitaria che sia mai uscita dalle mani di Dio” e una che “ha una tale presa sugli affetti”. Lì incontrò e fece amicizia con tutti i tipi di personaggi che sua madre avrebbe considerato sgradevoli: conducenti di diligenze, minatori e indiani Paiute e Shoshone. Osservò la “crescita infelice dell’albero yucca” e le “foglie appuntite a baionetta, di colore verde opaco, che diventano ispide con l’età, sormontate da pannocchie di fetida fioritura verdastra” dell’albero di Joshua.

 

Scrisse del “caldo pozzo della Valle della Morte” e “dei venti lunghi e pesanti e della calma senza fiato sulle altipiani inclinati dove danzano i diavoli della polvere”. Sapeva leggere il paesaggio, dice Melody Graulich, professoressa di inglese alla Utah State University ed esperta della vita e del lavoro di Austin.




Il percorso insolito che Austin alla fine seguì - insegnante, scrittrice itinerante, madre single, divorziata - fu fortemente influenzato dal paesaggio in cui fu trapiantata. “Ha scritto che nel deserto ogni pianta ha il proprio volto e il proprio rapporto sociale con le piante che la circondano”, afferma Graulich. “Lo vedo come uno spazio metaforico che l’Occidente ha concesso alla crescita”. Austin si era lasciata alle spalle le pretese del paesaggio addomesticato “e si era trasferita a ovest, dove la società era molto più fluida. C’era molto più spazio per l’anticonformismo”.

 

Ma la madre di Austin, sempre preoccupata della rispettabilità, desiderava che lei si sposasse. Con gli scarsi guadagni alla frontiera, Mary Hunter sposò con riluttanza Stafford Wallace Austin nel 1891. Stafford, un ingegnere istruito a Stanford, non era un gran ispiratore e ancor meno un buon compagno. La loro figlia Ruth, nata nel 1892, aveva gravi problemi mentali; per la maggior parte, Austin si prendeva cura di lei da sola. Lasciò il marito più volte, alla fine divorziarono nel 1914. A differenza della maggior parte delle donne del suo tempo, dice Graulich, “Austin non era definita dal matrimonio ma dal mondo naturale che dava a questi poteri spirituali e indipendenza”.




 Nonostante le difficoltà e le turbolenze, Austin scriveva, non solo per esprimersi e dare voce alle cause così care al suo cuore, ma per guadagnarsi da vivere e pagare le cure di sua figlia. Anche se alcuni avrebbero condannato la sua scelta, Austin alla fine mise sua figlia in un istituto, un costo finanziario che avrebbe sostenuto da sola.

 

Land of Little Rain iniziò come una serie di schizzi - comprende 17 vignette in tutto - pubblicati a puntate su The Atlantic, la rivista letteraria più importante dell’epoca. Gran parte del suo territorio si trova nella Owens Valley, dove ha stabilito la sua casa, tra la Inyo National Forest e la Death Valley. Il capitolo “Jimville” descrive una città di “300 persone e quattro bar” e “The Basket Maker” si concentra su una donna nativa americana che “siede accanto ai focolari spenti della sua tribù e digerisce la sua vita, nutrendo il suo spirito contro il tempo. del bisogno dello spirito”. Il libro, dice Graulich, è “l’inizio per prendere piede, sia nel panorama fisico che in quello letterario”.




 Alla fine Austin lasciò la Owens Valley e si diresse verso una colonia di artisti a Carmel, dove fece amicizia con scrittori come Jack London e Ambrose Bierce.  Continuòo a diventare una feroce voce politica sulle questioni idriche, i diritti dei nativi americani e altre cause legate ai parchi nazionali, e una figura importante agli albori della scena artistica del sud-ovest. “Non ha avuto scrupoli nel mettersi in gioco”, afferma Graulich. “Aveva il dito in ogni pentola”.

 

Austin era particolarmente appassionata dei diritti delle donne e del controllo delle nascite. Molti dei suoi lavori successivi raccontano le lotte delle donne dalla mentalità indipendente in una società repressiva. Come scrisse Austin in un pezzo di fantasia intitolato The Walking Woman: “Si era allontanata da ogni senso della società”.

 

“I suoi libri parlano delle donne che ha incontrato nei suoi vagabondaggi: donne mistiche, indipendenti e lungimiranti che avevano un legame profondo e duraturo con il mondo naturale”, afferma Graulich.

 

Più tardi, nel New Mexico, Austin collaborò a un progetto con Ansel Adams, che disse di lei: “Raramente ho incontrato e conosciuto qualcuno di tale potere intellettuale e spirituale e disciplina. È una persona del “futuro”, una persona che tra un secolo apparirà come una scrittrice di grande statura nella complessa matrice della cultura americana.




Sebbene la previsione di Adams non si sia mai materializzata, il libro più noto di Austin continua a influenzare scrittori e artisti oggi.

 

“Era questa fantastica descrizione del paesaggio unico della Owens Valley, ma anche di una zona più ampia di deserto e delle persone che potrebbero essere attratte da lì”, afferma Dayton Duncan, scrittore e regista che ha coprodotto la serie PBS, The Parchi nazionali: la migliore idea d’America. Duncan ha scoperto il testo mentre faceva ricerche per il suo libro sulle moderne città di frontiera, Miles from Nowhere . “È un punto di riferimento evocativo quanto leggere i diari di Lewis e Clark”.

 

Per alcuni dei suoi fan, la popolarità di questo libro è una sorta di ironia o un triste commento sull’industria editoriale. Land of Little Rain, il suo lavoro meno controverso e conflittuale, è sopravvissuto tranquillamente mentre molti dei suoi lavori più apertamente femministi e politici andarono fuori catalogo. Alcuni credono che la sua neutralità politica sia parte di ciò che ha impedito alla Terra della Piccola Pioggia di svanire.




Austin ha continuato a scrivere altri 33 libri. Si trasferì a New York all’inizio degli anni ’10 per sostenere le cause delle donne, e lì scrisse il romanzo autobiografico, A Woman of Genius, su un’attrice le cui aspirazioni artistiche sono in conflitto con le aspettative della società. Nel 1918 iniziò a visitare Santa Fe, dove studiò la poesia dei nativi americani e si impegnò nella riforma a loro favore. Ha collaborato con Ansel Adams su Taos Pueblo, su un villaggio di nativi americani intatto, nel 1930.

 

Subito dopo l’uscita del suo libro, Esperienze di fronte alla morte, una meditazione sullo spiritualismo, la filosofia e la guerra, iniziò a soffrire di seri problemi di salute. Nel 1932 le fu diagnosticata una malattia coronarica e l’anno successivo ebbe un infarto. Morì a Santa Fe nel 1934. Molti dei suoi libri morirono con lei.

 

Land of Little Rain, ovviamente, resistette.

 

La terra delle piogge rare è un viaggio di scoperta alla ricerca delle tracce nascoste della vita che racchiudono le meraviglie dell’adattamento, dei fiori, delle piante e degli animali selvatici, creature mistiche che custodiscono i segreti della terra, vedono e sentono ciò che gli umani non riescono a cogliere. Nel deserto piante e animali accettano la terra per quello che è e trovano il modo di sopravvivere nella consapevolezza dell’“unità di tutte le cose”.




La natura, infatti, per Austin non era qualcosa da contemplare romanticamente, da osservare dall’esterno; a differenza degli scrittori trascendentalisti, come Thoreau ed Emerson, i quali non superarono mai la dicotomia tra mondo umano e mondo naturale, Austin invita a identificarsi empaticamente con la sabbia, le rocce, le piante, gli animali, imparando a vedere e soprattutto ad ascoltare, una conoscenza dall’interno.

 

Per comprendere la vita del deserto, i suoi ritmi e le sue voci era necessario aprire i sensi a presenze spirituali e per rappresentarlo una scrittura non oggettivante, non dominante, una pratica letteraria ecofemminista attenta al locale, ai dettagli, al letterale, con un linguaggio capace di catturare l’immediato e di dare voce a ciò che si considera inanimato. Il dominio sulla natura, infatti, si riflette anche nel linguaggio, nell’imposizione di codici simbolici, allegorie, astrazioni, metafore o personificazioni che ne soffocano la voce.




In Lost Borders, la sua seconda raccolta sul deserto da cui è tratto lo scritto The Last Antelope e che, al pari della Terra delle piogge rare, è autobiografica, Austin descrive il deserto come femminile. Come il deserto, così la natura femminile è sempre indomabile, irriducibile al dominio e allo sfruttamento. Il deserto è dunque una metafora sovversiva, un modello alternativo per l’autodeterminazione e la forza delle donne, uno spazio non addomesticato che non addomestica le donne, in cui esse possono identificarsi con la terra, esprimere la propria spiritualità, superare l’alienazione dal mondo naturale.

 

In The Land, lo scritto con cui si apre Lost Borders, Mary Austin rovescia il binomio tradizionale terra/donna come una sposa passiva o una vergine da possedere e controllare, e paragona il deserto a una donna appassionata, fertile, generosa, fiera.

 

‘Se il deserto fosse una donna, so bene che aspetto avrebbe: seno prosperoso, ampi fianchi, fulva, con grandi masse di capelli fulvi che si stendono lisci lungo le sue curve perfette, con le labbra turgide come una sfinge, ma non con le palpebre pesanti, bensì con occhi limpidi e fermi come gioielli […] appassionata, ma non dipendente, paziente, ma impossibile da smuovere dai suoi desideri, no, nemmeno se aveste tutta la terra da dare, nemmeno di un solo capello fulvo. Se si scava molto a fondo in qualsiasi anima che abbia il marchio della terra, si trovano qualità come queste’.




La protagonista dei racconti di Mary Austin che meglio personifica la donna liberata dalle convenzioni sociali è The Walking Woman, una donna bianca di cui aveva sentito parlare da coloro che aveva incontrato nel deserto. Dopo la morte di una persona invalida di cui si era presa cura, priva di mezzi di sostentamento, iniziò a camminare nella natura. Liberatasi da tutto ciò che non era essenziale, camminò oltre i valori costruiti socialmente, attraversò una trasformazione interiore, rinunciò al suo stesso nome e acquisì conoscenza e saggezza.

 

A differenza degli uomini che attraversavano il deserto alla ricerca di miniere perdute o alla guida delle mandrie, la donna in cammino aspirava ad essere “rasserenata e guarita dall’immensa saggezza della natura”.

 

In questa raccolta, inoltre, Mary Austin traccia un profilo delle donne native in relazione agli uomini bianchi “civilizzati” e alla loro volontà di dominio. Sempre in The Land, questi uomini sono paragonati a orbettini “che si fanno strada ergendosi contro ogni restrizione […] spesso dovendo stimolarsi con regole per assicurarsi di essere creature senzienti”.




In The Poket Hunter’s Story, un altro racconto della raccolta, Austin sviluppa la critica all’uomo bianco civilizzato trasportato dalla brutale passione di possedere, conquistare, controllare la terra e altri esseri umani, dall’odio e dalla rabbia verso chiunque minacci la sua proprietà.

 

In Lost Borders, infatti, l’incanto per la misteriosa e meravigliosa complessità della natura che pervade gran parte degli scritti raccolti nella Terra delle piogge rare lascia il posto al dolore per il degrado degli ecosistemi del deserto a causa delle attività umane, dei coloni animati da quell’amore per il predominio, che più di ogni altra cosa spinge gli uomini a conquistare nuove terre e a considerare le creature che le abitano una loro proprietà.

 

Sfruttamento della terra, rapacità, caccia indiscriminata sono i temi principali di The Last Antelope che di seguito introduco. Il protagonista è un pastore, Little Pete, che pascolava le sue pecore nella conca del Ceriso. Egli aveva imparato a vivere in armonia con la natura, a rispettarne i segni e le stagioni. Egli si sentiva in comunione con le colline, amava i cani come fratelli e il suo cuore si riscaldava alla vista di un ginepro solitario e di un’antilope, la creatura più nobile che avesse mai amato, un sentimento che l’animale sentiva e ricambiava.




Quando l’antilope, ultimo esemplare di una specie in estinzione, viene uccisa da un colono, Little Pete fu investito dallo “spirito che esala dalle città e dissecca la ragnatela e la rugiada”.

 

Così, quando il colono abbatte anche il ginepro, egli sente la morte della natura.

 

Anche a Mary Austin accadrà molti anni dopo di sentire il dolore per la crudeltà della caccia quando descriverà una sua escursione in montagna, un’altura circondata da un paesaggio desolato:

 

‘Era così secco che nemmeno le lucertole sfrecciavano e i licheni crescevano sulle rocce. Poi, dopo diverse stagioni di piogge meno frequenti, un coniglio solitario trovò lì la sua strada. Quando per caso lo vedevo durante le mie camminate, mi voltavo rapidamente e andavo da un’altra parte; per nessun motivo al mondo l’avrei spaventato allontanandolo dalla montagna. Dopo due stagioni ci tornai in compagnia di un uomo di mia conoscenza e, nell’eccitazione per aver scoperto che il coniglio aveva trovato una compagna, lanciai un grido. Purtroppo, quell’uomo era del tipo in cui la montagna risveglia solo l’amore per l’uccisione, e dopo avermi mostrato i conigli che penzolavano sanguinanti dalla sua mano, sentii che non sarei mai più potuta tornare in quel luogo. Ma a volte l’ho sognato, e nel mio sogno la montagna ha un volto, e su quel volto uno sguardo di dolore, intollerabilmente familiare’.


Quando scrisse queste parole, Mary Austin, afflitta dal senso di solitudine, dal dolore per il divorzio dal marito e per la morte della sua unica figlia, si era appena trasferita a Santa Fe dove si dedicò alla conservazione e la valorizzazione delle culture delle popolazioni native e dove morì dieci anni dopo.


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